di Emilio Robotti
L’istituto giuridico dell’amministrazione di sostegno è stato introdotto nel 2004 nell’ordinamento italiano come strumento flessibile per aiutare a persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi.
Con la decisione Calvi and G.C. c. Italia ,pubblicata il 6.7.2023, la Corte Europea dei Diritti dell’uomo si occupa proprio di amministrazione di sostegno, accertando un caso di violazione dell’art. 8 CEDU (diritto al rispetto della vita privata) da parte dello stato italiano.
Si trattava di un fatto con rilievo mediatico per essere stato oggetto di un servizio realizzato dalla trasmissione “Le Iene” e per l’intervento – più volte – del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale.
Il ricorso era stato presentato dal sig. Calvi in nome proprio e per conto del cugino C.G., per il quale era stata disposta una misura di protezione giuridica da parte di un giudice tutelare, che lo aveva collocato, contro la sua volontà, in una casa di cura (R.S.A. residenza sanitaria assistenziale) nell’ottobre 2020.
Questi i fatti in sintesi riportati nella decisione.
Nel 2017 la sorella di C.G. aveva chiesto ed ottenuto dal Giudice Tutelare di Milano la nomina di un amministratore di sostegno per il fratello, motivando la richiesta con l’età anziana e la tendenza a spendere in modo eccessivo di quest’ultimo.
Nel 2018 C.G. e sua sorella avevano chiesto al Tribunale la revoca della misura, sostenendo che le circostanze che la giustificavano erano cambiate. L’opposto parere dei servizi sociali, che ritenevano invece necessario l’intervento di un tutore legale per vari aspetti della vita di C.G., aveva portato il giudice tutelare a confermare l’amministrazione di sostegno. Anzi, il giudice tutelare sempre nel 2020 aveva esteso i poteri dell’amministratore di sostegno a tutti gli aspetti della cura personale di C.G.
Sempre nel 2020, l’amministratore di sostegno (d’ora in poi AdS) aveva inoltre chiesto ed ottenuto di far collocare G. C. in una casa di cura (R.S.A. residenza sanitaria assistenziale), facendo presente che il suo assistito non aveva più un medico di base né una tessera che gli consentisse di accedere alle cure mediche e che era stato avviato un procedimento penale contro i suoi assistenti domiciliari per indebita influenza.
Va precisato che G.C. è sempre stato contrario a tale ricovero, e che seppure il ricovero fosse avvenuto senza costrizione fisica effettiva, aveva comunque visto il giudice tutelare autorizzare l’utilizzo della forza pubblica su richiesta dell’AdS, come riportato nella decisione.[1] La contrarietà al ricovero iniziale ed il desiderio di tornare al proprio domicilio del sig. G.C. non sono mai venute meno anche successivamente.
Il mese successivo il ricovero del sig. G.C., la troupe di un programma televisivo, “Le Iene”, girò un servizio televisivo che metteva in dubbio la liceità del ricovero di C.G. in una casa di cura, trasmesso a livello nazionale. A seguito della messa in onda del servizio, l’AdS decise di vietare qualsiasi comunicazione diretta tra C.G. e terzi, ad eccezione del sindaco della città.
Tale decisione dell’AdS fu confermata dal giudice tutelare, che alcuni giorni dopo, con un proprio provvedimento aveva vietato a terzi di incontrare C.G. o di contattarlo telefonicamente, salvo C.G. non lo desiderasse.
In diverse occasioni, tra il 2021 e il 2023, il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà visitò la R.S.A. in cui C.G. era stato collocato, presentando anche una raccomandazione alla Procura della Repubblica di Lecco (del cui destino nulla si è mai saputo, ha rilevato la Corte) in cui il Garante affermava, tra l’altro, che la misura di protezione adottata nei confronti di C.G. doveva essere rivista e che per il futuro si sarebbe dovuta adottare una misura di tutela più adeguata. Nel 2023 il Garante incontrò inutilmente anche il sindaco della città.
Davanti alla Corte europea, il signor Calvi ha lamentato l’impossibilità da parte sua di avere contatti con il cugino C.G. e per quanto riguarda C.G., il suo collocamento forzato in una casa di cura dal 2020 e l’impossibilità di tornare a casa propria o di ricevere visite nell’istituto in cui viveva.
Una vicenda che si è protratta per anni, dal 2020, e che ha visto succedersi tre Amministratori di sostegno, sei perizie psichiatriche e come detto l’intervento del Garante.
Peraltro, le perizie, con diagnosi diverse a poca distanza (come il disturbo di personalità narcisistico prima e quello ossessivo compulsivo con elementi di depressione poi, ad esempio) sin dal 2021 avevano comunque evidenziato la necessità di un graduale ritorno alla propria abitazione da parte di G.C., il quale non aveva mai perso la propria capacità di integrazione sociale secondo i periti incaricati.
Indicazione, quest’ultima, mai considerata o comunque attuata né dall’AdS, né dal giudice tutelare.
Tenendo conto dell’impatto che il collocamento sotto tutela legale ha avuto sulla vita privata di C.G., la Corte di Strasburgo ha osservato che, mentre le autorità giudiziarie avevano inizialmente intrapreso una valutazione approfondita della sua situazione prima di collocarlo in una casa di cura, durante la sua permanenza non avevano invece tentato, in considerazione della sua particolare vulnerabilità – che sostenevano di aver individuato – di mettere in atto alcuna misura volta a mantenere le sue relazioni sociali, nè una strategia per facilitare il ritorno del sig. G.C. al proprio domicilio.
Secondo la Corte, C.G. è rimasto isolato dal mondo esterno, in particolare dalla famiglia e dagli amici. Tutte le visite e le richieste di telefonate erano vagliate dal suo tutore o dal giudice tutelare, e una delle poche persone a cui era stato permesso di vederlo, durante i tre anni di permanenza nella casa di cura era stato il sindaco della città in cui viveva.
La Corte ha osservato che questo controllo era stato effettuato sin dal momento dell’ingresso in istituto, cioè anche prima della messa in onda del servizio del programma “Le Iene” sulle reti televisive italiane. Inoltre, il giudice tutelare aveva basato le sue decisioni sulle relazioni presentate dal solo tutore legale, ritenendo superfluo intervistare C.G., rifiutando le richieste di contatto presentate dal signor Calvi, condividendo il parere negativo del tutore.
C.G. era stato ascoltato personalmente solo una volta durante il suo collocamento in R.s.a., non è mai stato coinvolto nelle decisioni prese nelle varie fasi del procedimento, è stato sottoposto a restrizioni nei contatti con la sua famiglia e tutte le decisioni che lo riguardavano erano state prese dal suo tutore legale.
La Corte ha attribuito particolare importanza al fatto che C.G. non era stato mai dichiarato decaduto dalla capacità giuridica e non era mai stato sottoposto ad alcun provvedimento di amministrazione totale dei suoi affari, avendo gli esperti indicato, al contrario, che la sua capacità di integrazione sociale non era compromessa. La Corte ha notato che, nonostante questi fattori, C.G. era però completamente dipendente dal suo tutore legale in quasi tutti gli ambiti della sua vita e che la misura non era stata limitata nel tempo.
Di più, la Corte segnala che in effetti le autorità italiane hanno approfittato della flessibilità del sistema dell’amministrazione di sostegno per raggiungere obiettivi che la legge italiana prevedeva, ma con severe limitazioni e con previsione di garanzie, nel ben diverso contesto della procedura di TSO (trattamento sanitario obbligatorio). In poche parole, il quadro giuridico del TSO era stato quindi aggirato dalle autorità nazionali attraverso un ricorso abusivo alla tutela legale dell’amministrazione di sostegno.
La Corte ha inoltre riscontrato la mancata previsione di garanzie per prevenire gli abusi, come richiesto dalle norme internazionali sui diritti umani, per garantire, nel caso di specie, che i diritti, i desideri e le preferenze di C.G. fossero presi in considerazione.
Al di là del caso specifico, la Sentenza della Corte dovrebbe quindi essere l’occasione per riflettere su uno strumento, flessibile ed importante, di sostegno alle persone fragili, ma che è applicato sul territorio nazionale dai diversi tribunali in modo differente. L’amministrazione di sostegno sconta certamente, come tutta l’amministrazione della Giustizia del nostro paese, nonostante l’impegno di molti giudici tutelari e amministratori di sostegno nominati, una cronica carenza di risorse umane e materiali. Ma il caso del sig. G.C. dovrebbe portare ad una riflessione su come prevedere in ogni caso maggiori garanzie per gli amministrati, ed il loro ascolto anche da parte del Giudice tutelare, soprattutto dopo che l’amministrazione di sostegno è stata avviata.
Interessante la decisione anche per quanto riguarda l’ammissibilità del ricorso, come detto presentato dal sig. Calvi per sé ed anche per il sig. G.C.
La posizione del sig. Calvi è infatti stata dichiarata inammissibile dalla Corte per mancato esaurimento dei rimedi interni (il reclamo ex art. 720 bis c.p.c.).
Ammissibile invece è stato ritenuto il ricorso presentato dal sig. Calvi in nome del sig. G.C.
La Corte ha rilevato che il sig. G.C. non era stato in grado di presentare personalmente un ricorso alla Corte, avendo un tutore legale (l’AdS) e considerando che nel caso di specie il ricorso riguardava proprio le restrizioni che il tutore legale gli aveva imposto, con il consenso del giudice tutelare.
Da ciò conseguiva, in primo luogo, un rischio reale che C.G. fosse privato dell’effettiva tutela dei diritti della Convenzione invocati. Per di più in assenza di conflitto di interessi tra il sig. Calvi e C.G., per quanto riguardava l’oggetto del procedimento.
Infine, la Corte ha ritenuto che il caso del sig. G.C. sollevasse gravi questioni relative alle condizioni di vita delle persone anziane collocate nelle case di cura, di interesse pubblico generale proprio data la vulnerabilità delle persone che vivono in tali istituzioni. Di conseguenza, secondo la Corte nel caso di specie sussistevano quelle circostanze eccezionali che – secondo la propria giurisprudenza (Lambert et autres c. France ([GC], no 46043/14, § 102, CEDH 2015; sulla necessità di un’autorizzazione scritta debitamente sottoscritta, Hirsi Jamaa et autres c. Italie [GC], n. 27765/09, §§ 52 e 53, CEDU 2012) che le hanno consentito di riconoscere che il sig. Calvi era legittimato ad agire nel procedimento dinanzi ad essa, in qualità di rappresentante di suo cugino.
[1] “l’administrateur, accompagné du médecin E.M. et de carabiniers, se présenta chez l’aide à domicile de l’intéressé. Ce dernier, informé de la décision de placement qui avait été prise le concernant, manifesta son opposition à ladite mesure. Toutefois, après avoir retrouvé son calme, il accepta de suivre le médecin pour se soumettre à un contrôle médical, ne consentant à intégrer une maison de retraite médicalisée qu’à titre provisoire et dans la perspective d’un retour ultérieur chez lui. Deux jours plus tard, il commença à refuser la nourriture, à l’exception du pain et de l’eau, afin de protester contre son placement.”