di Veronica Guerra
Con due recenti ordinanze, la Corte di cassazione si è espressa in merito al tema del trasferimento del cittadino straniero dal territorio italiano a quello di un altro Stato membro, affrontando tematiche relative alla competenza e agli obblighi informativi. Comune ai due casi è la circostanza per cui lo straniero avrebbe già in precedenza presentato domanda, a suo tempo rigettata, allo Stato verso cui viene richiesto il trasferimento, con conseguente possibilità di successivo rimpatrio coattivo.
In virtù della recente pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione Europea in materia (sentenza n. 228/2023), la Suprema Corte, per mezzo della prima sezione civile ha richiesto, in un caso, con ordinanza interlocutoria, la trasmissione del ricorso alla Prima Presidente per un’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, con riguardo a due questioni; nell’altro, invece, ha enunciato un principio di diritto in materia di obblighi informativi.
Quanto al primo caso, sollevato per mezzo di ordinanza interlocutoria n. 10898 – n. 10903 del 23 aprile 2024 dalla prima sezione civile, si richiede l’intervento delle Sezioni Unite nell’ambito di un giudizio di impugnazione del provvedimento con il quale l’Unità di Dublino aveva disposto il trasferimento di un cittadino straniero in un altro paese, ove era stata già presentata una domanda di protezione internazionale, che aveva poi avuto esito negativo.
Una prima questione su cui viene richiesta la pronuncia delle Sezioni Unite riguarda la deroga al principio generale di responsabilità, prevista dal Regolamento n. 604 del 2013, art. 3 (c.d. Regolamento di Dublino III), che prevede la possibilità per uno Stato membro di designare altro Stato membro diverso da quello inizialmente indicato, per “carenze sistematiche nella procedura d’asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti in tale Stato membro, che implichino il rischio di un trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”. La prima sezione civile esprime, dunque, dubbi in merito al respingimento di richiedenti asilo che abbiano già visto la loro domanda rigettata dal paese verso il quale si vorrebbe effettuare il trasferimento, in quanto comporterebbe un probabile rimpatrio e un rischio concreto di refoulement.
In secondo luogo, ci si domanda se il sistema di protezione nazionale interno possa qualificarsi come esercizio della clausola discrezionale di cui all’art. 17 dello stesso Regolamento, dal momento che risulta maggiormente improntato sull’attuazione del diritto d’asilo costituzionale e al suo compimento. In virtù della clausola, infatti, lo Stato membro può decidere di analizzare la domanda di protezione internazionale pur non essendo competente.
Con ordinanza n. 10331 del 17 aprile 2024, nell’ambito di un giudizio di impugnazione del provvedimento di trasferimento emanato dall’Unità di Dublino di uno straniero in altro paese in cui egli aveva già in precedenza presentato domanda di protezione internazionale, si è invece enunciato un principio di diritto relativo proprio al processo di trasferimento: gli obblighi informativi di cui all’art. 10 d.lgs. n. 25 del 2008 non esaurirebbero infatti quelli previsti in maniera specifica dagli artt. 4 e 5 del Regolamento UE n. 604 del 2013, che hanno rispettivamente ad oggetto i diritti di informazione e le regole in materia di colloquio personale del richiedente. Si riconosce la primaria importanza di questi obblighi, conformemente alla sentenza n. 228 del 30 novembre 2023 della Corte di giustizia dell’Unione Europea, tanto che la loro mancata attuazione comporterebbe l’annullamento della decisione sul trasferimento stesso.
L’interpretazione conforme della sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea di novembre scorso sembra quindi assumere una rilevanza via via più penetrante anche in sede interpretativa nazionale, soprattutto con riguardo al rischio di refoulement e agli obblighi informativi del richiedente asilo.