di Valentina De Giorgio

Con sentenza del 25 giugno 2024, la Grande Camera della Corte di Strasburgo si è pronunciata sul caso Ucraina c. Russia (Crimea) (ricorsi nn. 20958/14 e38334/18), in merito alle violazioni dei diritti umani commesse dalla Federazione russa nella penisola della Crimea.

A seguito dell’invasione della Crimea, il governo ucraino aveva presentato un ricorso interstatale ai sensi dell’art. 33 CEDU a Strasburgo, sostenendo che la Federazione Russa, a partire dal 27 febbraio 2014, avesse esercitato un controllo effettivo sulla Repubblica autonoma di Crimea e sulla città di Sebastopoli, parti integranti dell’Ucraina, e che avesse adottato una prassi amministrativa in Crimea che ha comportato numerose violazioni della CEDU tra il 27 febbraio 2014 e il 26 agosto 2015, in relazione alla presunta integrazione della Crimea nella Federazione Russa. In particolare, la Russia aveva implementato contro i non russi in Crimea una campagna di repressione che comprendeva sparizioni, detenzioni illegali, maltrattamenti, l’impossibilità di rinunciare alla cittadinanza russa, la soppressione dei media ucraini e dell’uso della lingua ucraina nelle scuole, nonché il trasferimento di prigionieri dalla Crimea a prigioni remote in Russia.

La Federazione russa, prima del 2022, anno in cui ha smesso di partecipare ai procedimenti della Corte europea, aveva negato tutte le accuse di violazioni di diritti umani in Crimea.

La Corte, nella sentenza del 25 giugno, ha affermato che si hanno sufficienti prove in grado di far ritenere la Federazione russa colpevole “oltre ogni ragionevole dubbio” della commissione di violazioni sistematiche dei diritti umani nel territorio della Crimea a partire dal 2014. In particolare, la Corte ha dichiarato ricevibili, senza tuttavia pregiudicare il merito, le doglianze del governo ricorrente relative alla presunta esistenza di pratiche amministrative in violazione degli articoli 2 (diritto alla vita), 3 (divieto di tortura), 5 (diritto alla libertà e alla sicurezza), 6 (diritto a un equo processo), 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare), 9 (libertà di pensiero, di coscienza e di religione) 10 (libertà di espressione), 11 (libertà di riunione e di associazione) della Convenzione, degli articoli 1 (protezione della proprietà) e 2 (diritto all’istruzione) del Protocollo n. 1 alla Convenzione, dell’articolo 2 del Protocollo n. 4 alla Convenzione, nonché dell’articolo 14 (divieto di discriminazione) della Convenzione, in combinato disposto con gli articoli 8, 9, 10 e 11 della Convenzione e con l’articolo 2 (libertà di circolazione) del Protocollo n. 4 alla Convenzione. Trattandosi di incidenti sufficientemente numerosi e interconnessi, la Corte ha ritenuto sussistente un “sistema di violazioni”. Inoltre, la Corte ha ordinato alla Russia di adottare il prima possibile misure per garantire il ritorno sicuro dei prigionieri trasferiti dalla Crimea nelle prigioni russe.

L’impatto di tale pronuncia sarà verosimilmente limitato dal fatto che la Federazione russa si è rifiutata di riconoscerne la validità. Resta comunque una sentenza estremamente rilevante, in considerazione del fatto che si tratta della prima decisione con cui un tribunale internazionale abbia riconosciuto la Russia responsabile di “una politica di violazioni su larga scala e sistematiche di vari diritti e libertà umani” in Crimea. Margarita Sokorenko, rappresentante dell’Ucraina presso la Corte europea, ha affermato che la sentenza ha “essenzialmente eliminato la narrativa decennale della Russia sul rispetto dei diritti umani in Crimea”.