Di Maria Paola Costantini
Con la sentenza 3780/2021 la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, conferma la decisione della sezione disciplinare del CSM che aveva comminato una censura a un magistrato per la violazione dei doveri di imparzialità, correttezza, equilibrio e rispetto della dignità della persona ai sensi dell’art. 1 comma 1 e 2 del Dlgs 109 del 2006. La Cassazione emana una pronuncia che, sottolineando la gravità dei comportamenti, assume una duplice rilevanza: in merito al riconoscimento di diritti fondamentali della persona con riferimento alla salute e all’autodeterminazione delle scelte nonché con riguardo alla funzione giurisdizionale e alla tutela dei diritti.
La vicenda, risalente al 2012, riguarda una donna in stato di detenzione domiciliare che si rivolgeva al magistrato di sorveglianza per essere autorizzata ad allontanarsi da casa per potersi sottoporre a intervento di interruzione volontaria di gravidanza. La prima volta, il magistrato respingeva la richiesta non ravvisando i presupposti di legge senza tuttavia motivare la sua decisione, indicando solo il riferimento all’art. 284 comma 2 del Codice penale richiamato dall’art. 47 ter O.P. Alla seconda istanza della signora, coadiuvata da un avvocato, il magistrato riteneva di astenersi ritenendo la richiesta contraria ai propri principi religiosi (come riporta la sentenza “impropriamente evocando l’obiezione di coscienza”). La richiesta veniva accolta da altro magistrato incaricato.
La sezione disciplinare aveva rilevato una lesione dei diritti personali dell’istante e nella specie del diritto alla salute di cui all’art. 32 della Costituzione, evidenziando che le ragioni oggettive della richiesta rientravano sicuramente tra quelle indispensabili esigenze di vita necessarie a consentire l’autorizzazione. Inoltre, per effetto dell’illegittimo provvedimento emesso, la signora aveva dovuto rivolgersi ad un legale per la presentazione di una nuova istanza, a garanzia dei propri interessi, nonché rinviare a data successiva l’intervento di IVG, in prossimità della scadenza del termine di legge. La Cassazione ritiene che non vi possa essere dubbio nel fatto che nella nozione di “indispensabili esigenze di vita, contemplata dall’art. 284 comma 3 cod. proc. penale sia inclusa la necessità di tutelare i diritti fondamentali delle persone, tra cui è compresa la libertà di scelta e di autodeterminazione della donna di interrompere volontariamente la gravidanza. Tale scelta costituisce infatti manifestazione ed esercizio di un diritto personalissimo che non tollera limitazioni a causa dello stato di detenzione”.
Nella pronuncia, i giudici si soffermano su un ulteriore profilo ossia sulla gravità dell’assenza di motivazione del provvedimento in quanto lesivo della possibilità di esercitare il proprio diritto alla tutela. Il provvedimento privo di motivazione, infatti, è lesivo di un “valore fondamentale della giurisdizione, la cui legittimazione è strettamente connessa alla trasparenza delle decisioni e alla conoscibilità delle ragioni che hanno condotto il giudice ad assumere una determinata decisione”. E ancora: “Il provvedimento giurisdizionale tanto più quanto riferito ad una richiesta che attiene ad indispensabili esigenze di vita e verso la quale si esprime l’intenzione di esercitare un diritto personalissimo in un ambito in cui l’ordinamento conferisce rilievo alla salute psicofisica della gestante e alla particolarità della sua condizione, non può risolversi nella espressione di un immotivato diniego che lasci la persona che ne è destinataria nelle condizioni di non potere neppure comprendere le effettive ragioni alla base del diniego”. E “specie in una persona che versi in condizioni restrittive”.