di Alessio Sangiorgi
Terminato l’iter di ratifica del Protocollo n. 15 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, adottato a Strasburgo in data 24 giugno 2013. Lo Stato italiano ha depositato lo strumento di ratifica presso il Segretariato Generale del Consiglio d’Europa in data 21 aprile 2021, l’ultimo in ordine temporale ad arrivare da parte delle 47 Alte parti contraenti della CEDU; in conseguenza, il Protocollo entrerà in vigore il primo giorno del mese successivo al decorso dei tre mesi dall’ultima ratifica, ossia il prossimo primo agosto.
Come noto, si tratta di un Protocollo che reca modifiche alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, la più rilevante delle quali consiste nella riduzione a 4 mesi, a decorrere dalla sentenza interna definitiva, del termine per l’introduzione di un ricorso individuale. Tale modifica entrerà in vigore soltanto all’esito di un periodo transitorio di sei mesi dalla data di entrata in vigore del Protocollo, ossia dal 1° febbraio 2022. In buona sostanza, per le sentenze emesse a partire da questa data si dovrà tener conto del nuovo termine “quadrimestrale”: così per una sentenza pubblicata in data 2 febbraio 2022, il termine ultimo per adire la Corte europea dei diritti dell’uomo scadrà il 2 giugno 2022 e non più il 2 agosto 2022 (come sarebbe stato in applicazione del “vecchio” termine semestrale).
Si tratta di riduzione significativa del termine per la presentazione del ricorso (di ben un terzo) che impatterà sull’accesso alla Corte di Strasburgo e, più in generale, sul diritto di difesa. Non è affatto raro che l’assistito si rivolga a un avvocato, spesso diverso da quello che ha patrocinato i giudici interni, a ridosso della scadenza. Tale restrizione contribuirà a rendere più difficile l’introduzione tempestiva dei ricorsi e dunque a favorirne il rigetto da parte della Corte EDU. A queste considerazioni si sommano le preoccupazioni derivanti l’eccessivo formalismo della Cancelleria e della Corte europea nel vaglio preliminare, amministrativo e di ammissibilità, del ricorso individuale a seguito delle ultime riforme della Convenzione e del Regolamento di procedura della Corte. Insomma, questa nuova ennesima modifica in senso restrittivo dell’accesso al giudice di Strasburgo solleva perplessità sotto il profilo di una tutela “effettiva” dei diritti umani, di cui la Corte di Strasburgo dovrebbe essere il primo difensore. L’auspicio è che a Strasburgo si trovino adeguati correttivi per garantire l’effettività del sistema di controllo convenzionale.
Alla predetta modifica se ne aggiungono alcune altre che incidono sul meccanismo procedurale della Corte, e in particolare: l’inserimento del principio di sussidiarietà e della dottrina del margine di apprezzamento in un nuovo considerando al Preambolo della Convenzione (modifica del preambolo che costituisce un’anomalia nel panorama del diritto internazionale dei trattati); la previsione dell’età inferiore ai 65 anni per coloro che sono candidati nella terna dei giudici da presentare all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ai fini dell’elezione alla Corte di Strasburgo con contestuale abrogazione dell’età massima di 70 anni per l’esercizio del mandato di giudice; l’eliminazione del sistema di veto attualmente concesso alle parti in giudizio ai sensi dell’art. 30 CEDU per la rimessione di una questione alla Grande Camera da parte di una Camera; il rafforzamento della condizione di ricevibilità del pregiudizio importante (di cui all’art. 35, § 3(b) CEDU) attraverso l’eliminazione di una delle due clausole di salvaguardia secondo cui non poteva essere dichiarato irricevibile per assenza di un pregiudizio importante il ricorso il cui oggetto non fosse stato previamente esaminato in maniera adeguata dai tribunali domestici.