di Emilio Robotti
Vediamo le principali decisioni edi ricorsi pendenti citati in tale documento.
Il Factsheet – COVID-19 health crisisanalizza prima di tutto i criteri di ammissibilità del ricorso alla Corte, tra i quali la condizione di vittima del ricorrente.
Sotto tale profilo, vengono ricordati il caso Le Mailloux c. France, dove era stata dedotta la violazione dell’articolo 2 CEDU (diritto alla vita), dell’articolo 3 CEDU (divieto di trattamenti inumani o degradanti), dell’articolo 8 CEDU (diritto al rispetto della vita privata e familiare) e dell’articolo 10 CEDU (diritto alla libertà di espressione) della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
Il ricorrente lamentava il mancato adempimento da parte dello Stato (la Francia) degli obblighi positivi di protezione della vita e dell’integrità fisica delle persone sotto la sua giurisdizione durante la pandemia. il riferimento era in particolare alle restrizioni nell’accesso ai test diagnostici, alle misure preventive ed ai tipi specifici di trattamento, nonché l’interferenza nella vita privata delle persone, che stavano morendo in solitudine a causa del virus. Il ricorso è stato considerato inammissibile, perché il ricorrente aveva censurato le misure disposte dallo stato francese per contrastare la diffusione del virus tra l’intera popolazione della Francia, ma non aveva dimostrato o comunque dedotto di essere stato egli stesso infettato dal virus, né di aver contratto la malattia e quindi di aver assunto la condizione di vittima. La Corte ha ribadito che la Convenzione e la propria giurisprudenza non prevedono una actio popularis, ma solo il ricorso individuale di vittime di violazioni della Convenzione in base all’art. 34 CEDU. Ricorso nel quale il ricorrente deve dimostrare, con prove ragionevoli e convincenti, di essere stato direttamente interessato dalla violazione della Convenzione denunciata.
Sempre sotto il profilo della (in)ammissibilità dei ricorsi, particolarmente interessante è il caso Zambrano c. France, perché relativo al “pass sanitaire”, strumento giuridico analogo al “Green pass” italiano. Anche tale ricorso è stato dichiarato inammissibile per diverse ragioni. Un primo profilo di inammissibilità è stato dichiarato dalla Corte per il mancato esaurimento dei ricorsi interni, a cui si è aggiunto però l’abuso del diritto al ricorso individuale.
Infatti, il caso riguarda un docente universitario, Guillaume Zambrano, che contesta il “pass sanitario” introdotto in Francia nel 2021 e che ha creato un movimento contro il “pass sanitaire”.
Sul proprio sito web, il sig. Zambrano invitava a compilare un modulo da egli precompilato al fine di aumentare il numero di ricorsi alla Corte europea e quindi presentare in tal modo una sorta di domanda collettiva (come abbiamo visto, non ammessa dalla Convenzione e dalla Corte: Le Mailloux c. France visto un precedenza). Una “strategia legale” con l’esplicito obiettivo di “paralizzare le operazioni” della Corte di Strasburgo innescandone la “congestione, carico di lavoro eccessivo e arretrato” e addirittura di “forzare la porta d’ingresso della Corte” al fine di “far deragliare il sistema” stesso della Corte.
Azione effettivamente quindi in contrasto sia con lo spirito della Convenzione, che con gli obiettivi da essa perseguiti, come ha rilevato la Corte.
Tale approccio del sig. Zambrano ha portato al deposito di 18.000 ricorsi “standardizzati” presso la Corte di Strasburgo, per i quali però non sono stati soddisfatte nel termine temporale assegnato dalla Corte, le condizioni previste dalla Regolamento della Corte(Rule 47 § 1 : contenuto del ricorso individuale) e per questo dichiarati inammissibili: in breve, ciò che è successo è che le richieste della Corte di integrare ognuno di quelle migliaia di fascicoli, sono rimaste tutte senza risposta.
Rispetto al diritto alla vita (art. 2 CEDU) e alla proibizione della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti (art. 3 CEDU), il factsheet cita il ricorso Feilazoo v. Malta, relativo al caso di un cittadino nigeriano in regime di detenzione per immigrazione irregolare.
La detenzione era consistita in un isolamento di fatto per circa sette settimane, seguito però da un altro periodo di detenzione nel quale il ricorrente era stato collocato insieme ad altri immigrati arrivati successivamente, richiedenti asilo protezione internazionale e collocati insieme al ricorrente in regime di quarantena Covid-19. La Corte ha dichiarato la violazione dell’art. 3 rispetto alle inadeguate condizioni di detenzione sofferte dal ricorrente, perché la collocazione con altre persone che lo ponevano in una situazione di rischio per la sua salute personale, a maggior ragione dopo un lungo isolamento senza giustificazione ed in assenza di alcuna considerazione per la sua situazione personale, non potevano essere considerate misure compatibili con le basilari esigenze sanitarie del ricorrente.
Dichiarato inammissibile invece il ricorso Ünsal and Timtik v. Turkey per manifesta infondatezza: secondo la Corte lo stato di salute dei due detenuti, in sciopero della fame durante la pandemia, non avrebbe richiesto misure diverse rispetto a quelle adottate dalle autorità. Il caso è di particolare e triste notorietà, perché entrambi i ricorrenti sono due dei molti Avvocati turchi arrestati dopo la svolta autoritaria imposta dal presidente Erdogan, che ha portato in carcere anche altre migliaia di dipendenti pubblici, giornalisti, magistrati.
Ebru Timkik, una delle ricorrenti era una coraggiosa Avvocata turca, in carcere per aver difeso persone sgradite alle autorità, tra i due avvocati ricorrenti è la più tristemente nota perché purtroppo deceduta durante la detenzione e lo sciopero della fame da egli portato avanti fino alla morte, prima che la Corte decidesse non solo questo ricorso nel merito, ma anche un ricorso urgente per una misura ad interim nei suoi confronti e dell’Avvocato Ünsal. Il ricorso di merito è stato respinto solo per quest’ultimo, unico dei due ricorrenti rimasto in vita.
Il factsheet inoltre segnala altri ricorsi ad oggi pendenti nei confronti del Regno Unito, della Grecia, di Malta, dell’Italia e della Francia, relativi a casi di detenuti che hanno lamentato situazioni di violazione della Convenzione rispetto agli art. 2 e 3 CEDU relativamente alle loro condizioni di detenzione durante l’emergenza pandemica.
Rispetto al diritto alla libertà ed alla sicurezza (art. 5 CEDU) la Corte ha dichiarato in parte inammissibile (per il resto, il ricorso è ancora pendente) il ricorso Fenech v. Malta, in cui veniva lamentata la sospensione dei procedimenti penali a causa della emergenza pandemica. La Corte ha ritenuto in parte manifestamente infondato il ricorso, perché il ricorrente – in custodia cautelare in carcere per sospetto coinvolgimento in un omicidio – non aveva segnalato alcuna anomalia o ritardo nel procedimento, salvo la sospensione dei procedimenti penali dovuta all’emergenza pandemica, evento assolutamente eccezionale e giustificato da misure legislative a tutela della salute e dell’interesse pubblico; secondo la Corte non potendosi nemmeno sostenere che il dovere di particolare diligenza da parte dell’autorità giudiziaria nel valutare la condizione di un detenuto non fosse stato osservato nel caso in esame.
In Terheş v. Romania il ricorrente, un cittadino rumeno eletto al Parlamento europeo che nel 2019 si trovava nel suo paese al tempo della dichiarazione del lockdown per la pandemia, sosteneva che il lockdown era contrario all’art. 5 CEDU, essendo egli stato privato della sua libertà. La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, non ritenendo il lockdown una misura comparabile agli arresti domiciliari, come invece sostenuto dal ricorrente. Inoltre, secondo la Corte, il livello di restrizione della libertà di movimento del ricorrente conseguente alle misure adottate dallo stato rumeno non poteva essere ritenuto una deprivazione della libertà e quindi una violazione della Convenzione. In particolare, secondo la Corte, il ricorrente non aveva esplicitato lo specifico impatto delle misure di lockdown sulla sua personale situazione, né dedotto di essere stato confinato nella propria abitazione per l’intera durata del lockdown. In definitiva, insomma, il ricorrente non aveva fornito alcuna informazione che potesse descrivere la sua reale esperienza personale durante il lockdown.
Nel caso Bah v. the Netherlands il ricorrente lamentava la violazione dell’art. 5 § 4 CEDU (diritto ad una rapida decisione sulla legittimità della detenzione) per l’impossibilità ad essere sentito di persona, o almeno in videoconferenza, nel procedimento di appello relativo al suo caso durante la fase iniziale della pandemia. La Corte ha ritenuto il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza, poiché la mancata presenza all’udienza era stata causata dalla situazione imprevista manifestatasi durante le prime settimane dell’emergenza pandemica ed il ricorrente era stato rappresentato in udienza dal proprio Avvocato, con il quale era in contatto telefonico e con il quale aveva avuto la possibilità di avere regolari contatti. Ciò non aveva avuto secondo la Corte impatto sui diritti fondamentali applicabili alla situazione del ricorrente ed era giustificato da una situazione eccezionale e dall’interesse alla salute pubblica.
Diversi altri ricorsi sono pendenti nei confronti di Cipro, della Francia rispetto alla violazione del diritto alla libertà (art. 5 CEDU) e contro la Grecia e la Russia anche per il diritto ad un equo processo (art. 6 CEDU)
In merito al diritto al rispetto della vita privata e familiare (art. 8 CEDU) il ricorso D.C. v. Italy (no. 17289/20) nel quale veniva lamentato che le autorità non avevano preso misure per assicurare il mantenimento dei legami familiari tra il ricorrente e la figlia di cinque anni durante il lockdown, il procedimento è stato cancellato dalla Corte dopo che il ricorrente ha informato la cancelleria che la prima udienza era stata anticipata al giugno 2020 per decidere misure cautelari nell’interesse della minore.
In materia di vaccinazione obbligatoria contro il Covid-19 per determinate professioni e nello specifico i pompieri, risulta invece ancora pendente il ricorso Thevenon v. France (no. 46061/21) per il quale la Corte aveva rigettato la richiesta di misure ad interim. La Corte ha notificato il ricorso al governo francese e sollevato domande relativamente ai criteri di ammissibilità del ricorso, all’art. 8 CEDU, all’art. 14 (divieto di discriminazione) e all’art. 1 (protezione della proprietà) protocollo n. 1 della Convenzione.
Relativamente alla libertà di pensiero, di coscienza e religione protetti dalla Convenzione, la Corte ha notificato (art. 6 ed art. 9 CEDU) un ricorso al governo rumeno in materia di libertà di religione (art. 9 CEDU), Spînu v. Romania (no. 29443/20), relativo ad un caso in cui il ricorrente, un carcerato appartenente alla Chiesa Avventista del Settimo giorno, ha contestato il rifiuto delle autorità a consentirgli di recarsi in una chiesa a Bucarest per tenere le funzioni religiose del sabato (Sabbath) durante l’emergenza pandemica.
Le autorità rumene hanno infatti ritenuto che solo le attività assolutamente necessarie potessero essere svolte al di fuori del carcere, interrompendo in tal modo l’assistenza religiosa e morale ai detenuti; mentre il ricorso Association of orthodox ecclesiastical obedience v. Greece (no. 52104/20) notificato al governo greco riguarda la proibizione del culto collettivo nel contesto della pandemia Covid-19.
Il ricorso Magdić v. Croatia (no. 17578/20) è stato invece notificato al governo croato per violazione dell’art. 9 CEDU, dell’art. 11 (libertà di riunione e di associazione) e dell’art. 2 (libertà di movimento) riguardo alle misure di contrasto alla diffusione del Covid-19.
Relativamente alla libertà di pensiero, la Corte ha notificato al governo russo (art. 10 CEDU – libertà di espressione, ma anche art. 6 § 1 CEDU – diritto ad un equo processo;) il ricorso Avagyan v. Russia (no. 36911/20). Il ricorrente aveva pubblicato su Instagram un post nel quale sosteneva, tra altre cose, che in Russia non vi erano veri casi di Covid-19 nella regione del Krasnodar e per questo era stato condannato, per diffusione di false informazioni su Internet, ad una multa di 30.000 rubli (equivalenti a circa 390 euro), vedendo rigettata la propria impugnazione anche in grado di appello.
Infine, con riferimento alla libertà di riunione e di associazione (art. 11 CEDU) la Corte ha notificato al governo svizzero il ricorso Communauté genevoise d’action syndicale (CGAS) v. Switzerland (no.21881/20) relativo al divieto di manifestare durante la pandemia Covid-19.