di Margherita Tommasini
In data 9 dicembre 2021, la Commissione Europea ha presentato una serie di misure volte a garantire alle persone che lavorano attraverso piattaforme digitali il godimento dei diritti che gli spettano. Tra queste, la proposta di una nuova direttiva volta a regolamentare, e migliorare, le condizioni dei lavoratori della c.d. gig economy.
In particolare, la proposta cerca di garantire ai lavoratori delle piattaforme digitali il riconoscimento dell’inquadramento corrispondente alle loro effettive modalità di lavoro, stilando così una lista di criteri idonei ad accertare la natura del rapporto di lavoro, autonoma ovvero subordinata. Nel caso in cui si riscontrino almeno due di tali criteri, la Commissione accorda una presunzione di lavoro subordinato, indipendentemente dalla qualifica indicata nel contratto, riconoscendo così al lavoratore delle piattaforme digitali i diritti e le tutele sociali proprie del lavoro subordinato. Spetterà semmai alla piattaforma di dimostrare che il lavoratore non è un dipendente.
Secondo le stime della Commissione Europea, in Europa sono circa 28 milioni le persone che lavorano tramite una piattaforma digitale tra cui 5,5 milioni sono erroneamente qualificati come lavoratori autonomi.
La proposta sembra rispondere a questioni sollevate, ormai da tempo, da molti lavoratori delle piattaforme e già affrontate dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea (cfr. Ordinanza del 22 aprile 2020, n° C-692/19). Anche la Sezione lavoro della Cassazione si pronunciava, con sentenza n. 1663/2020 del 24 gennaio 2020, sulla natura della prestazione lavorativa dei cd. riders, riaffermando l’opzione interpretativa che sostiene l’applicazione della disciplina della subordinazione al lavoro etero-organizzato, cioè quel rapporto di lavoro il cui committente ha il potere unilaterale di imporne le modalità di coordinamento.
La proposta della Commissione sarà adesso discussa dal Parlamento europeo e dal Consiglio, e se dovesse venir adottata, gli Stati avranno due anni per trasporre la direttiva, un lasso di tempo probabilmente eccessivo per rispondere alla rapida e costante evoluzione della gig economy.