della Redazione
Con quattro sentenze pubblicate il 5 maggio 2022, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per aver violato il diritto al rispetto della vita privata e familiare e il diritto a un ricorso effettivo tutelati dagli articoli 8 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo in diversi casi riguardanti l’inquinamento prodotto dall’acciaieria ex ILVA di Taranto.
Nel caso A.A. e altri c. Italia, personalmente seguito dagli avvocati dello studio Lana Lagostena Bassi – Rosi, la Corte, in particolare, considerava che il governo italiano non aveva adottato tutte le misure necessarie per garantire l’effettiva protezione del diritto al rispetto della vita privata dei ricorrenti, non riuscendo a raggiungere un equo bilanciamento tra l’interesse dei ricorrenti a non subire un grave danno all’ ambiente tale da ripercuotersi sul loro benessere e sulla loro vita privata e l’interesse della società nel suo complesso. Queste sentenze della Corte EDU si inseriscono nel solco della sentenza del 2019 Cordella e altri c. Italia sullo stesso tema. Pur accogliendo con favore le pronunce, suscita perplessità il fatto che la Corte non abbia colto l’occasione per concedere il risarcimento ai ricorrenti coinvolti nelle vicende, se non per un singolo caso.
La Corte ha, inoltre, respinto le doglianze dei ricorrenti rispetto l’art. 2 CEDU (diritto alla vita), relative all’insorgenza di gravi patologie causate dalle emissioni inquinanti, per il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne ai sensi dell’art. 35 CEDU. Ciò è avvenuto nonostante le autorità italiane fossero venute meno all’obbligo di adottare le misure necessarie al fine di offrire ai cittadini tutte le informazioni essenziali che consentissero loro di valutare i rischi ai quali erano soggetti, continuando a risiedere vicino al complesso industriale. Purtroppo, la Corte europea non ha avuto il coraggio di entrare nel merito della posizione delle persone che vivono nelle zone circostanti l’ex ILVA e che sono state gravemente danneggiate dalle emissioni inquinanti, circostanza ulteriormente aggravata dal fatto che questo tipo di giudizio non può essere deferito alla Grande Camera.
Le sentenze del 5 maggio rappresentano una nuova tappa di questa terribile vicenda che ha causato e continua a causare, come scritto nell’ordinanza di sequestro degli impianti emanata nel 2013 dalla giudice per le indagini preliminari di Taranto, “malattia e morte”.
Ci auguriamo che le autorità italiane, nuovamente sollecitate dalla Corte, adottino misure immediate per bonificare l’area.