Di Emilio Robotti
Nella presente newsletter è già stata data notizia e commentata la Sentenza A.I. c. Italia della Corte EDU, ma vale la pena ritornare sulla vicenda esaminata dalla Corte EDU essendo essa stata anche oggetto di una interessante decisione della Corte di Cassazione (Sent. n. 3643/2020 – rel. M. Acierno).
Come rileva la Corte di Cassazione, citando tra le altre le decisioni della Corte Edu Zhou c. Italia e S.H. c. Italia “spetta a ciascuno Stato dotarsi di strumenti giuridici adeguati e sufficienti per assicurare il rispetto degli obblighi positivi ad esso imposti ai sensi dell’art. 8 ed alla Corte cercare di stabilire se, nell’applicazione e nell’interpretazione delle norme, le autorità nazionali abbiano tenuto conto in particolare dell’interesse superiore del minore dal momento che l’art. 8 implica il diritto per un genitore di ottenere misure idonee a riunirlo con il figlio e l’obbligo per le autorità nazionali di adottarle.”
Pertanto, le autorità statali devono adottare tutte le misure concrete per far vivere il minore con i genitori biologici, e così devono preservare tale legame anche quando siano presenti accertate compromissioni parziali della idoneità e capacità genitoriale in assenza, però, di situazioni di abbandono morale e materiale del minore: risultando interesse del minore stesso oltre che del genitore la conservazione di tale legame.
La decisione della Corte di Cassazione, oltre che per quanto riguarda l’ampio e corretto richiamo della giurisprudenza della Corte EDU, va segnalata in considerazione del fatto che l’Italia vanta purtroppo un elevato numero di condanne da parte della Corte EDU in materia di violazione dell’art. 8 della CEDU (Scozzari e Giunta c. Italia, D’Acunto e Pignataro c. Italia e altre) e per il fatto che alcuni Tribunali per i Minorenni, decidono per l’adottabilità di figli di donne sole, vittime della tratta e spesso provenienti dalle zone sub sahariane.
Ciò tra l’altro in contrasto, come ha rilevato anche la Corte Edu e ribadisce anche la decisione di Cassazione qui segnalata, con l’esistenza di un orientamento di altri Tribunali per i Minorenni italiani che ritengono applicabile la cosiddetta “adozione mite”, ovvero una adozione che non recide il rapporto con la famiglia di origine e non stravolge l’identità culturale del bambino. Che conserva, come i suoi genitori biologici, il diritto / dovere di intrattenere rapporti con questi ultimi, pur se privi della responsabilità genitoriale passata ai genitori adottivi. Salvaguardando così la costruzione armonica ed integrale dell’identità personale e culturale del minore, aspetto non consentito dall’adozione con recisione di ogni legame.
L’adozione di minori disposta dal Tribunale in violazione dell’art. 8 della Convenzione EDU rappresenta un fenomeno purtroppo non certo nuovo, e nemmeno solo italiano, che colpisce come detto le donne sole con figli vittime della tratta provenienti dall’Africa sub sahariana, considerate giustamente da un lato meritevoli di beneficiare della protezione internazionale e dall’altro però per alcuni Tribunali dei Minorenni nazionali forse “colpevoli” di essere portatrici di differente cultura, anche genitoriale. Tali differenze culturali, che possono ovviamente aggiungersi alle conseguenze dei gravi disturbi post traumatici da stress, portano in diversi casi a considerare definitivamente compromesse le capacità genitoriali di tali madri, giustificando così la recisione completa e definitiva del legame con i figli nell’asserito intento di tutelare il superiore interesse di questi ultimi. Come nel caso A.I. c. Italia esaminato anche dalla Corte di Cassazione in oggetto, che ha annullato la Sentenza della Corte di Appello impugnata.
Fenomeno, quello esaminato dalle Corti EDU e di Cassazione nel caso A.I., che oggi colpisce le donne provenienti dall’Africa, ma di cui storicamente sono state e sono ancora vittime anche le donne di etnia rom in Italia come nei paesi aderenti al Consiglio di Europa, come confermato in diversi casi anche recenti dalla Corte EDU: Terna v. Italy (2021); Jansen v. Norway (2018); Barnea and Caldararu v. Italy (2017); Achim v. Romania (2017), citate in ECHR Factsheet “Roma and Travellers” – January 2021).