Di Adriana Raimondi

Con sentenza n. 43082 del 26 novembre 2024, la Corte di Cassazione, sez. I penale,  ha affermato che, anche a seguito dell’intervenuta abrogazione del terzo e quarto periodo del comma 1.1 dell’art. 19 d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, l’espulsione dello straniero a titolo di sanzione alternativa alla detenzione non può essere disposta quando la misura si risolva in un’ingerenza nella vita privata e familiare dell’interessato, vietata dall’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, come interpretato dalla Corte EDU.

Nella fattispecie, la Corte si pronunciava sull’impugnazione di una misura di espulsione (come alternativa alla detenzione) comminata dal Tribunale di sorveglianza di Catania ad un cittadino tunisino.

Tra i motivi di impugnazione proposti, il ricorrente deduceva la violazione di legge e il vizio di motivazione in cui era incorso il Tribunale di sorveglianza nel confermare il provvedimento di espulsione senza un adeguato apprezzamento delle circostanze ostative, rappresentate dalla dimostrata integrazione del deducente nel tessuto sociale ed economico italiano e del ragionevole timore di essere sottoposto a persecuzione in caso di rimpatrio in Tunisia.

Nell’accogliere la menzionata doglianza, la prima sezione penale osservava che l’abrogazione, intervenuta con il c.d. decreto Cutro (decreto legge 10 marzo 2023 n. 20, convertito dalla legge 5 maggio 2023 n. 50), della disciplina che richiedeva, ai fini dell’espulsione, la valutazione di eventuali vincoli familiari dell’interessato, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il Paese di origine (inserita nel 2020 all’articolo 19 del testo unico sull’immigrazione), non esime il giudicante dal valutare comunque i menzionati profili alla luce  dall’art. 8 CEDU.

L’art. 8 CEDU, che impone il rispetto della vita privata e familiare – proseguiva la Cassazione – richiede al Giudice di procedere a un esame comparativo della condizione dell’interessato, valutando anche la capacità di delinquere, “in una prospettiva di bilanciamento tra l’interesse generale alla sicurezza sociale e l’interesse del singolo alla protezione della sua sfera domestica, pur nel caso in cui gli altri componenti del nucleo non siano cittadini italiani”, considerato che, come precisato dalla Corte di Strasburgo, “esistono circostanze in cui l’espulsione medesima si dimostra non necessaria in una società democratica e non proporzionata al legittimo obiettivo perseguito, comportando così la violazione della Convenzione”.

Di conseguenza, nel cassare con rinvio il decreto impugnato,  la Corte statuiva che “l’espulsione dello straniero a titolo di sanzione alternativa alla detenzione, prevista dall’art. 16, comma 5, d.lgs 286/98, non può essere disposta, al pari di ogni altra forma di espulsione di natura penale, qualora tale misura si risolva in un’ingerenza nella vita privata e familiare dell’interessato, vietata dall’art. 8 della Convenzione EDU, come interpretato dalla Corte di Strasburgo alla luce dei criteri sopra richiamati”.