di Antonietta Confalonieri
Il vaccino contro il COVID 19 e il sempre più diffuso obbligo di somministrazione anima un intenso – e talvolta violento – dibattito in tutti i paesi che cercano soluzioni per gestire la pandemia.
Continua il difficilissimo bilanciamento dei diritti dell’essere umano.
In questa prospettiva è stato invocato l’intervento della Corte di Strasburgo.
I primi giorni di settembre 2021 la Corte dei diritti umani ha ricevuto 2 ricorsi contro la Grecia, presentati da 30 professionisti sanitari (pubblici e privati) che lamentano la violazione degli artt. 2-3-4-5-6-8 e 14 CEDU a seguito dell’operatività della legge n.4820/2021 con la quale la Grecia ha introdotto l’obbligo di vaccinazione per poter continuare ad esercitare la professione sanitaria.
I ricorrenti hanno anche chiesto alla Corte di applicare le misure provvisorie previste dall’art. 39 del Regolamento e di sospendere immediatamente l’applicazione della legge.
Tempestivamente, il Giudice incaricato ha confermato la linea già espressa nell’analoga richiesta dei vigili del fuoco francesi (ECHR n. 243/2021 del 25 agosto 2021) ) e così ha rigettato la domanda di misure provvisorie considerandola ultronea rispetto allo scopo fissato nell’art. 39 del Regolamento che prevede la misura d’urgenza in via eccezionale e solo nel caso in cui il richiedente – in assenza di tale misura – correrebbe il rischio di un danno irreversibile (“applicants would otherwise face a real risk of irreversible harm”).
La Corte dei diritti umani ha voluto ricordare che le misure d’urgenza dell’art. 39 del Regolamento non comportano alcuna valutazione della ricevibilità del ricorso nè tanto meno del merito della questione prospettata (ECHR n. 266/2021, 09.09.2021).
In sintesi, la decisione sulla misura d’urgenza non è una decisione nel merito delle violazioni della Convenzione Europea dei Diritti Umani.