di Valentina De Giorgio

Con sentenza del 26 settembre 2024, la Corte europea dei diritti dell’uomo si è pronunciata sul caso Gangemi c. Italia (ricorso n. 59233/17), riguardante l’imposizione di misure di sicurezza limitative della libertà di circolazione.

Il ricorso riguardava l’assoggettamento del ricorrente, il sig. Sergio Gangemi, alla misura preventiva della sorveglianza speciale da parte della polizia e all’obbligo di dimora da parte del giudice nazionale e ai sensi dell’art. 6, d.lgs .n. 159 del 6 settembre 2011 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione). Il richiedente veniva dichiarato socialmente pericoloso ai sensi dell’art. 1, par. 1, a) e b), del decreto n. 159/2011 (pericolosità generica o “pericolosità ordinaria”) in quanto persona che, sulla base di elementi di fatto, poteva essere considerata un delinquente abituale.

Le misure preventive imponevano al ricorrente i seguenti obblighi per un periodo di tre anni: trovare un lavoro stabile; condurre una vita onesta e rispettosa della legge e non dare adito a sospetti; non allontanarsi dal proprio domicilio senza averne dato notizia all’autorità di polizia responsabile della sua sorveglianza; presentarsi all’autorità di polizia responsabile della sua sorveglianza il lunedì e il venerdì, tra le 16.00 e le 18.00, e ogni volta che gli viene richiesto; non rientrare a casa oltre le 22.00 e non uscire di casa prima delle 7.30, se non in caso di necessità e solo dopo averne dato tempestiva comunicazione alle autorità; non detenere o portare armi; non frequentare persone con precedenti penali e sottoposte a misure di prevenzione o di sicurezza; risiedere nel Comune di Aprilia, situato nella Regione Lazio.

Invocando l’art. 2, Protocollo n. 4 alla CEDU (libertà di circolazione), il ricorrente lamentava il difetto di chiarezza e prevedibilità della base giuridica riguardante le persone a cui è applicabile la misura preventiva della sorveglianza speciale di polizia, nonché la vaghezza e indeterminatezza del contenuto degli obblighi impostigli, tra cui l’ordine di dimora obbligatorio nel Comune di Aprilia.

La Corte di Strasburgo, richiamando la decisione della Grande Camera riguardante il caso De Tommaso c. Italia (sentenza del 23 febbraio 2017), in cui era stata riscontrata una violazione dell’art. 2, Prot. n. 4 a causa della mancanza di chiarezza e prevedibilità della base giuridica della misura contestata, ha ritenuto che le misure imposte al sig. Gangemi fossero formulate in termini molto generici, con contenuto estremamente vago e indeterminato, soprattutto gli obblighi di “condurre una vita onesta e rispettosa della legge” e di “non dare adito a sospetti” (identici a quelli imposti al ricorrente nel caso De Tommaso c. Italia).

Per tali ragioni, non rinvenendo alcuna base giuridica prevedibile per l’imposizione delle suddette misure preventive, la Corte ha riscontrato una violazione nei confronti del ricorrente da parte delle autorità italiane dell’art. 2, Prot. n. 4 alla CEDU, condannando l’Italia a pagare al ricorrente 7.000 euro in risarcimento dei danni non pecuniari.