di Livia di Carpegna Gabrielli Falconieri

Il 13 giugno 2024, pronunciandosi sul caso Dániel Karsai c. Ungheria (ricorso n. 32312/23), la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha respinto la richiesta dell’avvocato ungherese Dániel Karsai, affetto da due anni da sclerosi laterale amiotrofica (SLA) avanzata, che è una malattia degenerativa progressiva del sistema nervoso centrale che attacca le cellule nervose e le cellule specializzate che controllano i movimenti e per la quale non esiste una cura.

Karsai si era rivolto alla Corte in quanto vorrebbe ricevere, prima che le sue sofferenze diventino insopportabili, l’assistenza al fine vita tramite eutanasia attiva che prevede che il medico somministri un farmaco, solitamente per via endovenosa. L’Ungheria, tuttavia, considera questa pratica illegale e dunque reato; conseguentemente chiunque assista una persona nell’atto del suicidio medico, sia su territorio ungherese che all’estero, potrebbe essere perseguito penalmente.

Davanti al tribunale l’avvocato ungherese aveva dichiarato che nel paese la collaborazione anche passiva nell’attuazione di una procedura di eutanasia è punita con il carcere fino a cinque anni, sostenendo che ciò consiste in una violazione dei diritti umani dei pazienti, i quali devono attendere di poter rifiutare un mezzo di sostentamento vitale al fine di porre fine alle proprie sofferenze quando la propria vita dipende da trattamenti di sostegno vitale.

La Corte di Strasburgo ha dichiarato che tale scelta da parte dell’Ungheria non viola però i diritti umani, con particolare riferimento all’articolo 8 (rispetto per la vita privata e familiare) e articolo 14 (divieto di discriminazione) della CEDU, lasciando dunque ampio margine di discrezionalità nell’attuazione dell’eutanasia a livello statale. La Corte ha però anche sostenuto la necessità da parte degli stati di considerare modifiche di legge in questo ambito in modo tale da tener conto delle evoluzioni dell’opinione pubblica e degli standard internazionali per quanto riguarda l’etica medica. Infine, la Corte europea ha ribadito l’essenzialità nel garantire cure mediche palliative di alta qualità e l’accesso a terapie del dolore in modo da preservare il diritto essenziale a una morte dignitosa, ritenendo in questo contesto, che cure di questo genere possano dare sollievo a malati come Karsai.

La sentenza è stata giustificata da parte dei giudici evidenziando i potenziali rischi di errore e abuso nella pratica della morte assistita, sottolineando inoltre come, nonostante la recente tendenza degli Stati membri del Consiglio d’Europa verso la legalizzazione della pratica, la maggior parte di essi continui a proibirla. I giudici hanno infine ritenuto che da parte ungherese ci sia stato un giusto bilanciamento degli interessi coinvolti e che di conseguenza la decisione del paese rientri nei margini di discrezionalità considerati dalla Corte di Strasburgo. Questa sentenza non impedisce in alcun modo agli Stati di legalizzare eutanasia e suicidio assistito, possibilità che rientra anch’essa nell’ambito di azione di uno stato all’interno del proprio margine di apprezzamento, ma definisce la discrezionalità degli stati in materia in maniera molto ampia.