di Federico Di Salvo
Lo scorso 29 marzo si è celebrata a Strasburgo la prima udienza dinanzi alla Grande Chambre della Corte europea dei diritti dell’uomo sulle cosiddette “cause climatiche” (climate cases) Verein Klimaseniorinnen Schweiz e altri c. Svizzera (n. 53600/20) e Carême c. Francia (n. 7189/21) riunite per tematica e questioni giuridiche insieme a Duarte Agostinho e altri c. Portogallo e altri 32 Stati (n. 39371/20). La ritrasmissione delle udienze è disponibile sul sito della Corte Europea.
L’udienza è “solo” la prima nelle cause riunite perché le discussioni dei vari ricorsi sono state scaglionate e, secondo le indicazioni della cancelleria della Corte europea, dovremo aspettarci le pledoiries del caso Duarte Agostinho prima della sospensione estiva dei lavori della Corte.
Dai comunicati stampa della Corte si apprende inoltre che, in coda a queste tre capofila introdotte tra il 2020 e il 2021, sono state poste altre 6 cause, introdotte tra il 2021 e il 2022, delle quali una italiana, frutto della riunione di due ricorsi Uricchio c. Italia e altri 31 Stati (n. 14615/21) e De Conto c. Italia e altri 32 Stati (n. 14620/21).
Le cause di cui si tratta viaggiano in parallelo, sono molto importanti e destano grande attenzione mediatica, tra gli attivisti, tra i giuristi e i commentatori. Si tratta di rilevanti iniziative riconducibili nell’ambito della human rights e climate strategic litigation, l’attività di contezioso strategico studiata proprio per sollecitare risposte giurisdizionali globali al fine di far rispettare, proteggere e attuare diritti umani su problemi di vasta scala.
Si sono costituiti in giudizio tanti Stati, tra cui l’Italia, e sono intervenute molte agenzie governative e non governative importanti, anche extraeuropee, talmente grande e planetaria è la portata della questione.
I tratti caratteristici di queste cause, sono, sotto un primo profilo l’essere state introdotte in gran parte con sforzi e risorse e ricorrenti collettivi, per opera di ONG o comitati, oppure collettivamente da speciali categorie di ricorrenti: giovani, giovanissimi minorenni che vantano un’aspettativa a un clima salubre e vivibile nel loro futuro; anziani, rappresentanti della terza età o di soggetti più vulnerabili maggiormente suscettibili agli effetti del cambiamento climatico dannosi per la salute; soggetti che affermano di essere già stati lesi nella loro integrità fisica e psichica dal cambiamento climatico. Sotto un secondo profilo l’essere dirette contro un gran numero di Stati Parte della Convenzione, convenuti collettivamente perché ritenuti inadempienti a obblighi gravanti sull’intera comunità internazionale, anche in forza di Accordi e trattati in materia, diversi dalla Convenzione (come l’Accordo di Parigi sul clima 2015) o l’aver invocato a parametro interposto trattati diversi come il Trattato sulla Carta dell’energia. Infine, sotto un terzo profilo l’essere state precedute senza successo da un esperimento di ricorsi interni, il cui esito infruttuoso ha destato problematiche di ineffettività dei rimedi a disposizione nei vari ordinamenti, o il non essere state affatto precedute da rimedi interni, ritenendosi essi insussistenti o ineffettivi date le violazioni sollevate.
I ricorrenti imputano agli Stati convenuti non solo ingerenze sui diritti e le aspettative climatiche (e quindi aggressioni e violazioni del loro diritto al rispetto della salute, della vita privata, di un ambiente e clima salubre – inosservanza di obblighi negativi di astenersi da ingerenze), ma sollevano soprattutto la violazione di obblighi positivi di tutela, protezione e di “impedimento” della degenerazione e del surriscaldamento climatico.
Si intuisce subito che, poste queste premesse, vari profili si aprono e la Corte dovrà cimentarsi con tutta una serie di aspetti, su cui dovrà pronunciarsi, tra le quali, ad esempio:
– se il diritto all’ambiente sostenibile sia un diritto umano e possa profilarsi una legittima aspettativa generazionale (discriminazioni tra i giovani e i meno giovani etc…);
– chi siano i soggetti che possano definirsi vittime di tali possibili violazioni e quindi legittimati ad agire denunciandole, vantando un pregiudizio verificabile, apprezzabile e importante, e quando queste cause invece possano dirsi actiones populares in quanto tali inammissibili;
– quale sia il grado di tutela giurisdizionale e lo standard di rimedi che gli ordinamenti interni debbano approntare anche in termini di accesso e riconoscimento della legittimazione ad agire perché possano definirsi effettivi;
– quale sia il congegno giuridico-internazionale che leghi gli obblighi scaturenti da accordi Internazionali diversi dalla Convenzione EDU alla Convenzione stessa per i suoi Stati Parte;
– quali diritti umani convenzionali vengano quindi in gioco e quali siano le norme invocabili a base giuridica di simili pretese di rispetto, protezione e attuazione di questo tipo di rivendicazioni;
– quali obblighi convenzionali vengano in rilievo (negativi, positivi, procedurali?);
– chi, quanti e quali siano i soggetti responsabili che debbano rispondere di tali violazioni;
– quale sia il grado di impegno che gli obbligati devono profondere e quali siano le misure specifiche da porre in essere per liberarsi dagli obblighi gravanti di non ingerenza e di protezione, e soprattutto se questi, indipendentemente dal parametro dell’accordo di Parigi, siano obblighi di mezzi o risultato.
Il numero delle questioni, la loro rilevanza e il loro grado di non scontatezza in materia (sia nella stessa giurisprudenza della Corte, che nel dibattito dottrinale) rendono la trattazione di queste cause estremamente interessante e, al termine di questa gestazione, la Corte sarà chiamata a dare alla luce attesissime pronunce gemelle, anzi plurigemellari, le quali costituiranno davvero indici rivelatori del “clima” che si respira a Strasburgo…
L’Unione forense monitorerà questi sviluppi e non mancherà di descriverle, chiarirle, commentarle e illustrarne le implicazioni.