dalla Redazione
Ad inizio febbraio, la Corte di Strasburgo si è pronunciata su due casi presentati contro l’Italia da soggetti affetti da problemi di natura psichiatrica che erano stati detenuti per anni in carceri ordinari: il caso Pintus c. Italia (ricorso n. 35943/18), definito con decisione pubblicata il 1° febbraio 2024, e il caso Tarricone c. Italia (ricorso n. 4312/13), con decisione pubblicata l’8 febbraio 2024.
Il caso Pintus c. Italia traeva origine dalla detenzione del ricorrente, Alessio Pintus, per circa otto mesi sotto il regime carcerario ordinario, nonostante il suo stato di salute mentale. Invocando l’art. 2 CEDU (diritto alla vita), il ricorrente lamentava che, in ragione di tale detenzione, le autorità carcerarie lo avevano esposto a un rischio reale e immediato di suicidio. Altresì, facendo leva sull’art. 3 CEDU (divieto di trattamenti inumani o degradanti), il ricorrente sosteneva che, a causa della detenzione sotto il regime ordinario, gli era stato impedito di ricevere un adeguato trattamento terapeutico, cagionando un peggioramento della sua condizione psicologica.
Nel caso Tarricone c. Italia, il ricorrente Alfonso Tarricone veniva detenuto in diverse occasioni in vari istituti penitenziari tra il 1993 e il 2021. Sulla base dell’art. 3 CEDU, il ricorrente lamentava di non aver ricevuto adeguate cure mediche per i suoi problemi di salute mentale a causa della prosecuzione della detenzione in regime ordinario di carcerazione.
In entrambi i casi la Corte di Strasburgo non ha riscontrato alcuna violazione della Convenzione, ritenendo che i tribunali nazionali fossero nella posizione migliore per valutare la compatibilità della detenzione in carcere con lo stato di salute mentale del soggetto. Inoltre, la Corte rilevava che i ricorrenti erano stati sottoposti a cure specializzate durante la detenzione in carcere.
Duole constatare come la Corte, in queste due decisioni, si sia discostata dai suoi precedenti in materia, nei quali aveva ritenuto che “le condizioni mentali [del ricorrente] erano incompatibili con la detenzione in carcere”, riscontrando la violazione dell’art. 3 CEDU (v. caso Sy c. Italia, decisione del 24 gennaio 2022).