di Maria Paola Costantini
Il 22 novembre scorso la Terza Sezione della Corte europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo si è pronunciata nel caso D.B. e altri contro la Federazione Svizzera riguardante il riconoscimento anagrafico del figlio nato da gestazione per altri negli Stati Uniti da una coppia same sex maschile (Requêtes nos 58817/15 et 58252/15).
La questione sollevata è già stata oggetto di decisioni da parte della Corte EDU che ha ritenuto quasi sempre di dover riconoscere un ampio grado di apprezzamento da parte degli Stati ma al tempo stesso la necessità di una tutela dell’interesse del minore e quindi con l’obbligo da parte degli Stati di individuare forme di riconoscimento adeguate. Tuttavia, tale caso suscita interesse per alcuni profili.
Il primo profilo riguarda il fatto che la Corte EDU ha deciso di esaminare il caso poiché questo consentiva di “chiarire, salvaguardare e sviluppare le norme di protezione previste dalla Convenzione (Konstantin Markin c. Russie [GC], no 30078/06, §§ 89-90, CEDH 2012 (extraits), Karner c. Autriche, no 40016/98, §§ 25-28, CEDH 2003-IX, et Paposhvili c. Belgique [GC] no 41738/10, §§ 129-133, 13 décembre 2016). Secondo la Corte si tratta di “un’importante questione di interesse generale, in particolare per gli Stati che hanno aderito alla Convenzione e che non hanno adottato leggi che consentono il riconoscimento del legame di filiazione come nel caso in esame”.
Nel citare la propria giurisprudenza in materia e confermarne i principi sottostanti, i giudici ribadiscono non solo che il richiamo al principio di ordine pubblico non sia sufficiente al mancato riconoscimento del legame parentale ma che la tutela dell’interesse del bambino costituisca un obbligo fondamentale. In tal senso il mancato rispetto dell’identità derivante dal mancato riconoscimento comprime di fatto questo legame.
Il terzo profilo di interesse concerne il fatto la Corte ritiene che l’orientamento sessuale dei genitori non possa essere oggetto di una valutazione diversa dell’interesse del minore non possa dipendere dal solo orientamento sessuale.
Un ultimo e principale profilo riguarda il riconoscimento di un danno morale per il tempo in cui il bambino è stato privo di un riconoscimento. La vicenda risale al 2011. La coppia, unita civilmente, richiedeva alle istituzioni elvetiche il riconoscimento della decisione del giudice californiano in cui si attestava il legame parentale del bambino nato nel 2010. Dopo un primo rigetto, la richiesta veniva accolta ma subito di nuovo appellata e quindi rigettata dal Tribunale federale nel 2015. Tale Tribunale riteneva infatti non si poteva non accettare la violazione dell’ordine pubblico e ammettere un comportamento in frode alla legge. Nel 2018, tuttavia, la Svizzera, a seguito di referendum popolare, introduceva una modifica del Codice civile con la possibilità di adozione da parte del padre intenzionale. Su questo presupposto, la coppia richiedeva l’adozione del minore e otteneva il provvedimento. Tuttavia, la Corte Edu ha ritenuto sussistente una violazione in ragione del tempo intercorso, pari a 8 anni e 7 mesi, ritenendolo un tempo non giustificabile.
E’ bene, peraltro, porre in evidenza che la Corte Edu ritiene che non siano da accogliere le ulteriori doglianze presentate dai due genitori. Le loro allegazioni relative ad esempio alle difficoltà incontrate come genitori nel seguire il minore, non sono sufficienti a considerare il comportamento dello stato svizzero come una un’ingerenza sproporzionata né è possibile rilevare che il divieto di gestazione per altri come metodo di procreazione costituisca di per sé una violazione.