di Maria Paola Costantini
La Commissione europea ha inviato all’Italia la comunicazione di avvertimento in merito all’avvio di due procedure di infrazione per non aver rispettato i propri obblighi ai sensi del diritto dell’Unione (decisioni del 15 febbraio 2023), volti ad assicurare la corretta applicazione della normativa europea.
La prima questione per cui è stata aperta la procedura riguarda le condizioni di accesso al reddito di cittadinanza (INFR(2022)4024). La seconda concerne il cd assegno unico universale (INFR(2022)4113).
In merito al reddito di cittadinanza, secondo la Commissione, la normativa italiana non è in linea con le norme UE relative alla libera circolazione dei lavoratori, ai diritti dei cittadini e alle protezioni internazionali relative ai residenti a lungo termine. In Italia, infatti, tra i requisiti è prevista la residenza per dieci anni, almeno di cui due consecutivi. Le disposizioni sono contrarie al Regolamento 2011/492 nonché alle Direttive 2004/38/EC e 2003/109/EC che prevedono un termine minore e che prevedono l’accesso ai benefici anche per persone che siano state per un periodo residenti in altri paesi non europei. Il criterio dei dieci anni di residenza si qualifica come una discriminazione indiretta soprattutto per persone di nazionalità non italiana. Inoltre, i criteri produrrebbero discriminazioni dirette nei confronti dei beneficiari di protezione internazionale (Direttiva 2011/95/EU). Il requisito della residenza potrebbe inoltre incidere sulla possibilità degli stessi cittadini italiani di muoversi per lavoro fuori dall’Italia poiché non sarebbero soddisfatti tutti i criteri della normativa italiana. Secondo il comunicato pubblicato dalla Commissione: “le prestazioni sociali come il reddito di cittadinanza dovrebbero essere pienamente accessibili ai cittadini dell’UE che sono lavoratori dipendenti, autonomi o che hanno perso il lavoro, indipendentemente dalla loro storia di residenza”.
La questione era stata denunciata nel novembre del 2020 da una serie di associazioni (ASGI, NAGA, APN e l’Altro diritto). Sulla regolamentazione relativa a tale beneficio è stata investita anche la Corte costituzionale (Corte di Appello di Milano, ordinanza del 31 maggio 2022)
La seconda questione riguarda l’Assegno unico universale, misura introdotta in Italia nel marzo 2022 a favore delle famiglie con figli. Nella normativa sono previsti come criteri di accesso al beneficio la residenza in Italia da almeno un biennio e la convivenza dei bambini con i genitori. A parere della Commissione, tali disposizioni sarebbero contrarie al principio di libera circolazione dei lavoratori (art. 45 TFUE) e a due Regolamenti europei (Regolamento 2004/883 e Regolamento 2011/492) in quanto discriminatorie e in violazione della normativa sulla sicurezza sociale europea che prevede esplicitamente il divieto di inserimento di qualsiasi requisito di residenza quale condizione per ricevere prestazioni di sicurezza sociale come gli assegni familiari. Anche in tale caso, le disposizioni verrebbero a colpire cittadini provenienti da altri paesi, inserendo surrettiziamente un criterio legato alla stabilità di residenza. Un ulteriore elemento, sollevato da molti, riguarda la discriminazione che si verrebbe a produrre nei confronti di cittadini che lavorano all’estero ma aventi i figli residenti in Italia.