di Valentina De Giorgio

Con sentenza del 23 novembre 2023 (caso A. T. e altri c. Italia), la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per la violazione dell’art. 3 CEDU derivante dalla detenzione illegale di minori stranieri non accompagnati presso l’hotspot di Taranto.

Il Centro di Soccorso e Prima Accoglienza – CSPA di Taranto è stato designato come hotspot ai sensi del D. L. n. 13 del 17 febbraio 2017, articolo 17. Gli hotspot sono appositi punti di crisi allestiti in strutture di accoglienza all’interno delle quali si provvede alle esigenze di soccorso e di prima assistenza degli stranieri rintracciati  in  occasione  dell’attraversamento irregolare della  frontiera interna o  esterna o giunti nel territorio italiano a seguito di operazioni di salvataggio in mare.

I ricorrenti raggiungevano le coste italiane il 22 maggio 2017 via mare, quando erano ancora minorenni. A seguito dell’arrivo in Italia, venivano tuti trasferiti presso l’hotspot di Taranto, dove venivano effettuate  le  operazioni  di   rilevamento segnaletico e  fotodattiloscopico. I ricorrenti chiedevano protezione internazionale in data 23 maggio 2017.

In data 13 luglio 2017, dopo aver presentato alla Corte una richiesta dell’adozioni di misure provvisorie in via cautelare ai sensi dell’articolo 39 del Regolamento della Corte, i ricorrenti I.C., M.J. e K.I.S. venivano trasferiti in strutture per minori non accompagnati. A.T. veniva trasferito in una struttura per minori pochi giorni dopo, il 15 luglio 2017.

Nei loro ricorsi, i ricorrenti, rimasti nell’hotspot di Taranto per circa un mese e venti giorni, lamentavano la violazione degli articoli 3, 5, 8 e 13 della CEDU.

Tra l’altro, Defence for Children International, intervenendo in qualità di terzo interveniente, sottolineava le difficili condizioni di vita dei minori nei centri hotspot, facendo riferimento anche alle disposizioni della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo riguardanti il principio dell’interesse superiore del fanciullo, il diritto alla vita e il diritto del fanciullo di esprimere le proprie opinioni.

Nello specifico, i ricorrenti, invocando gli articoli 3 e 8 della Convenzione, evidenziavano le cattive condizioni di accoglienza dell’hotspot di Taranto, sovraffollato e insalubre. Su questo punto, la Corte decideva di no prendere in considerazione l’articolo 8 CEDU, esaminando la lamentela ai sensi del solo articolo 3 CEDU. Dopo aver sottolineato il difetto di contestazione da parte del Governo italiano in merito alle cattive condizioni dell’hotspot di Taranto al momento del soggiorno dei ricorrenti, la Corte ha ritenuto che i ricorrenti siano stati sottoposti a trattamenti inumani e degradanti durante il loro soggiorno nell’hotspot di Taranto, in violazione dell’articolo 3 CEDU.

I ricorrenti sostenevano, inoltre, di essere stati privati della libertà durante il loro soggiorno nell’hotspot di Taranto, in assenza di un provvedimento motivato che ne disponesse il trattenimento, in violazione dell’articolo 5 CEDU. Il Governo italiano osservava che i ricorrenti non erano stati trattenuti nell’hotspot di Taranto e che avrebbero potuto lasciare il centro in qualsiasi momento. La Corte, tuttavia, evidenziando l’impossibilità per i ricorrenti, migranti minorenni, di lasciare la struttura di Taranto, ha ritenuto che i ricorrenti siano stati arbitrariamente privati della libertà, in violazione dell’articolo 5 §§ 1, 2 e 4 CEDU.

Infine, per quanto riguarda la violazione dell’articolo 13 CEDU, i ricorrenti lamentavano la circostanza per cui, a causa della mancata nomina di un tutore legale, non avevano potuto inizialmente contestare le violazioni della Convenzione davanti alla Corte di Strasburgo. Evidenziando la mancanza di osservazioni sul punto da parte del Governo italiano, e il conseguente difetto dell’indicazione di rimedi specifici con cui i ricorrenti avrebbero potuto presentare un reclamo relativo alle loro condizioni di accoglienza, la Corte ha riscontrato una violazione dell’articolo 13 CEDU in combinato disposto con l’articolo 3.

Per questi motivi, la Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia a risarcire i danni non pecuniari subiti dai ricorrenti e a versare le spese legali da essi sostenute.