di Oriana Balsamo
Con la sentenza del 14 febbraio 2023, la Gande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU) ha accertato la violazione dell’articolo 10 CEDU, relativo alla libertà di espressione, nel caso Halet c. Lussemburgo.
Il caso riguardava la divulgazione da parte del signor Halet, dipendente di una società privata di revisione, di documenti riservati protetti dal segreto professionale, ottenuti grazie alla sua posizione lavorativa. Nello specifico, tra il 2012 e il 2014, diverse centinaia di dichiarazioni fiscali preparate dalla società di appartenenza venivano pubblicate da vari media.
A seguito di un’indagine interna, la società scopriva che nel 2010 un revisore contabile in fase di licenziamento aveva copiato 45.000 pagine di documenti riservati – tra cui 20.000 pagine di documenti fiscali corrispondenti a 538 ruling fiscali anticipati – trasmettendoli ad un giornalista.
Successivamente, un’ulteriore indagine interna rivelava che il sig. Halet aveva contattato nel maggio 2012 il medesimo giornalista per consegnare altri documenti. Tali documenti venivano dapprima pubblicati e poi trasmessi in un noto programma televisivo nazionale e condivisi sui social.
La società dava impulso, dunque, ad un’azione legale nei confronti del signor Halet, che si concludeva con la sua condanna al pagamento di una sanzione penale di 1.000 euro e al pagamento di una somma simbolica di 1 euro a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale subito dal suo datore di lavoro.
La Corte EDU, nella sentenza in commento, precisava che la protezione di cui godono gli informatori, c.d. “whistle-blower”, ai sensi dell’articolo 10 della CEDU, si basa sulla necessità di tenere in considerazione gli elementi propri di un rapporto di lavoro. Devono quindi bilanciarsi, da un lato, i doveri di lealtà, di riservatezza e di discrezione e, se del caso, l’obbligo di rispettare il dovere di segretezza previsto dalla legge, e, dall’altro, la posizione di vulnerabilità economica nei confronti della persona, dell’istituzione pubblica o dell’impresa da cui dipendono per l’impiego e il rischio di subire ritorsioni da parte loro.
Ciò premesso, nel caso di specie, la Grande Camera affermava la violazione dell’art. 10 CEDU, relativo alla libertà di espressione, da parte dello stato di Lussemburgo, considerata l’importanza nazionale ed europea del dibattito riguardo le pratiche fiscali delle società multinazionali al quale le informazioni divulgate dal ricorrente avevano dato un contributo essenziale.
A parere della Corte, tenuto conto del bilanciamento effettivo degli interessi in gioco– quali la natura, la gravità e gli effetti della divulgazione di dette informazioni, nonché la natura, la gravità e l’effetto dissuasivo della condanna penale del ricorrente – l’interferenza dello Stato con il diritto alla libertà di espressione del ricorrente, in particolare la sua libertà di fornire informazioni, era “necessario in una società democratica”.
Si segnalano inoltre l’opinione dissenziente congiunta dei giudici Ravarani, Mourou-Vikström, Chanturia e Sabato, e la dichiarazione di dissenso del giudice Kjølbro allegate alla sentenza.