di Luigi Carbone
Con la Sentenza del 7 luglio 2022, la Prima Sezione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, condannava all’unanimità la Grecia per violazione dell’articolo 2 (diritto alla vita), sia nel suo risvolto materiale, che procedurale e dell’articolo 3 (divieto di trattamenti disumani e degradanti) della Convenzione.
Il caso di specie concerneva le azioni ed omissioni commesse dalle autorità della guardia costiera greca nell’ambito naufragio nel mare Egeo del peschereccio turco “Conzuru”, il mattino del 20 gennaio 2014, causa del decesso di undici tra i passeggeri dell’imbarcazione.
Nei fatti, nella notte del 19 gennaio 2014, l’imbarcazione da pesca “Conzuru” partiva dalle coste turche con ventisette passeggeri, prevalentemente cittadini afgani, palestinesi e siriani, al fine di raggiungere le coste greche. Dopo alcune ore di navigazione, nella mattina del 20 gennaio 2014, quando l’imbarcazione era ormai giunta nelle acque territoriali greche, le autorità della guardia costiera nazionale, intervenendo nel quadro del programma europeo Poseidon 2014, la intercettavano e organizzavano le operazioni di rimorchio al fine di ricondurre la nave nelle acque turche.
In seguito al taglio da parte degli agenti della guardia costiera del cavo utilizzato per trainare la nave, quest’ultima si capovolgeva, provocando la caduta in mare dei passeggeri. Alcuni dei naufraghi riuscivano a trovare soccorso, salendo a fatica sull’imbarcazione della guardia costiera, mentre undici passeggeri, in balìa del mare aperto, non riuscivano, sfortunatamente, a salvarsi.
I superstiti venivano, in seguito, trasportati sull’isola di Farmakonisi, per poi essere ricollocati nell’isola di Leros.
Un certo numero di procedimenti veniva dunque avviato dinnanzi alle giurisdizioni nazionali, avverso il presunto capitano dell’imbarcazione turca, così come nei confronti degli agenti della guardia costiera intervenuti.
Il procedimento penale, pendente al momento dello scambio delle osservazioni nel ricorso davanti alla Corte EDU, intrapreso nei confronti del capitano della nave, terminava con una condanna. Riguardo agli agenti della guardia costiera, due procedimenti venivano intrapresi nei loro confronti, uno dinnanzi il Tribunale militare ed un procedimento penale dinnanzi la giurisdizione ordinaria, entrambi si concludevano con l’archiviazione della vicenda e l’esclusione di qualsiasi responsabilità degli imputati.
A seguito degli eventi sopracitati e dell’esito non soddisfacente dei procedimenti attivati tramite le vie di ricorso interne, 16 passeggeri del peschereccio, parenti di alcune delle vittime del naufragio, introducevano un ricorso davanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
In particolare, i ricorrenti invocavano una violazione dell’articolo 2 (diritto alla vita) nella sua componente sostanziale, adducendo che la loro vita fosse stata messa gravemente in pericolo dalle omissioni ed azioni delle autorità greche. Secondo i ricorrenti, infatti, sarebbero le stesse autorità guardiacoste nazionali le vere responsabili del naufragio.
I ricorrenti invocavano inoltre una violazione del risvolto procedurale dello stesso articolo 2, affermando la totale inadeguatezza della risposta investigativa, giudiziale ed amministrativa, incapace, anche solo potenzialmente, di fare luce sulla vicenda e di chiarire le circostanze della morte di familiari e cari dei ricorrenti.
Ulteriore argomento di ricorso era la presunta violazione dell’articolo 13 della Convenzione (diritto ad un ricorso effettivo), motivata dall’affermazione, da parte dei ricorrenti, dell’ineffettività dei ricorsi interni espletati.
Il Governo greco convenuto eccepiva, sostenendo l’irricevibilità della domanda, il mancato esaurimento dei mezzi di ricorso interni, essendo il procedimento nei confronti del ricorrente numero 11, il Capitano dell’imbarcazione, ancora pendente al giorno della richiesta; e, per quanto riguarda gli altri ricorrenti, a causa della mancata introduzione di ricorso per il risarcimento dei danni contro il Governo stesso, ricorso interno ancora aperto ai ricorrenti.
Nel merito, il Governo, contestava la versione dei fatti presentata dai ricorrenti, sostenendo il carattere conservativo dell’intervento della nave vedetta della Guardia Costiera. Secondo le osservazioni del Governo l’imbarcazione sarebbe intervenuta efficacemente allo scopo di soccorrere i naufraghi, numerosi dei quali, infatti, venivano portati in salvo sulla vicina isola di Farmakonisi. Le autorità greche escludevano categoricamente un eventuale ruolo causale degli agenti della guardia costiera nella dinamica dell’incidente, determinato, secondo loro, dal movimento scomposto dei passeggeri, in preda al panico.
La Corte Europea giudicava innanzitutto ammissibile il ricorso, rigettando le eccezioni del Governo e considerando che, se è vero, da un lato, che le vie di ricorso interne non erano state interamente espletate, d’altro canto i ricorsi ancora aperti ai ricorrenti non sarebbero stati potenzialmente efficaci, secondo la valutazione fatta dalla Corte, all’ottenimento della riparazione del pregiudizio subito.
Come detto, con la sentenza del 7 luglio 2022, i giudici di Strasburgo, condannavano il Governo greco, in ragione di una violazione degli articoli 2 e 3 della Convenzione.
In primo luogo, la Corte ravvisava una violazione dell’articolo 2 (diritto alla vita) nel suo risvolto procedurale, in quanto il comportamento delle autorità nazionali, nel corso delle indagini e dei procedimenti interni, volti a fare luce sull’accaduto, venivano giudicati come insufficienti e superficiali.
I ricorrenti, infatti, in sede testimoniale, venivano assistiti da interpreti sprovvisti di qualunque conoscenza della loro lingua, ciò che minava irrimediabilmente l’attendibilità del contenuto delle loro testimonianze. Nonostante ciò, e nonostante la conoscenza, da parte del Governo di tale circostanza, queste testimonianze rimanevano comunque parte del dossier dei procedimenti davanti alle Corti interne. Tali dichiarazioni, venivano in seguito utilizzate dal giudice come fondamento della decisione di archiviazione dei procedimenti avverso gli agenti della guardia costiera.
Secondo la Corte di Strasburgo, il Governo, per non incorrere in una violazione della disposizione dell’articolo 2 della Convenzione, a tutela della vita umana, avrebbe dovuto indagare su tali circostanze ed approfondirle, non appena venutone a conoscenza.
Inoltre, la Corte censurava la mancata presa in considerazione, nel corso delle indagini e dei procedimenti, di un certo numero di piste investigative proposte dai ricorrenti e ignorate dalle autorità nazionali; piste, secondo l’apprezzamento della Corte, fondamentali ai fini di chiarire gli avvenimenti del caso di specie.
In secondo luogo, i Giudici europei ravvisavano una violazione dell’articolo 2 della Convenzione, nella sua componente materiale. La Corte riteneva, infatti, che le autorità greche avessero mancato alle obbligazioni positive che l’articolo 2 impone agli Stati membri, al fine di assicurare una tutela effettiva ed efficace della vita dei propri cittadini (si veda in materia la sentenza L.C.B. c. Royaume-Uni, 9 juin 1998, § 36, Recueil 1998-III).
Sul punto concernente la violazione di tali obbligazioni la Corte affermava, preliminarmente, la sua impossibilità a statuire su alcuni dei motivi di ricorso a causa della povertà dei dati raccolti nelle indagini effettuate dalle autorità greche e della loro natura spesso contraddittoria. Nonostante ciò, i Giudici di Strasburgo deducevano dai fatti non contestati tra le parti che le autorità greche, intervenute nella dinamica dell’incidente, non avessero effettuato “tutto ciò che ci si poteva ragionevolmente attendere da queste per offrire ai ricorrenti ed ai propri familiari il livello di protezione richiesto dall’articolo 2 della Convenzione” (si veda in materia la sentenza Makaratzis c. Grecia ([GC], no 50385/99, CEDU 2004-XI nella quale la Corte affermava come, data l’importanza dell’articolo 2 nel sistema della Convenzione, eventuali azioni delle autorità nazionali in presunta violazione di tale disposizione vadano valutate in maniera organica, prendendo in considerazione non solamente l’operazione in sé, ma anche le attività di preparazione, organizzazione e controllo).
Infine, la Corte ravvisava anche una violazione dell’articolo 3 della Convenzione commessa dalle autorità greche, resesi colpevoli di trattamenti disumani e degradanti nei confronti dei naufraghi recuperati dalla nave, a seguito dell’incidente.
All’arrivo dei superstiti nell’isola di Farmakonisi, questi venivano infatti sottoposti a violenze fisiche ed a perquisizione corporale, in condizioni tali per cui quest’ultima pratica risultava sprovvista della necessaria giustificazione, richiesta dalla giurisprudenza di Strasburgo ai fini della sua ammissibilità (secondo i criteri consacrati nella sentenza Bouyid c. Belgique [GC], no 23380/09, §§ 86-87, CEDH 2015).
Tale pratica, causa di umiliazione e paura per le vittime, peraltro già in stato di shock a causa dell’incidente, insieme alla limitazione della libertà personale alla quale i ricorrenti venivano sottoposti sull’isola, veniva considerata dalla Corte come un trattamento disumano e degradante, in violazione dell’articolo 3 della Convenzione.