di Adriana Raimondi
Il 16 settembre 2021, la prima sezione della Corte europea dei diritti dell’uomo si pronunciava sul caso X. c. Polonia (ricorso n. 20741/10), rilevando la violazione dell’art. 14 (divieto di discriminazione) da leggersi congiuntamente all’art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Il caso traeva origine dal divorzio intervenuto tra la ricorrente, X., e il marito.
X, infatti, avendo intrapreso una relazione con un’altra donna, nel 2005 avanzava domanda di divorzio. I genitori di X., in disaccordo con le sue scelte di vita, chiedevano e ottenevano la custodia dei nipoti, che successivamente, a seguito di appello proposto da X e dal marito, gli veniva negata.
Veniva quindi pronunciata sentenza di divorzio in cui si riconoscevano a X pieni diritti genitoriali e le si attribuiva la custodia dei quattro figli.
Solo nel 2006, l’ormai ex marito, si rivolgeva nuovamente ad un giudice al fine di modificare gli accordi precedenti, ottenendo la custodia dei quattro figli.
X chiedeva quindi la revisione dell’accordo, con particolare riferimento alla custodia di uno dei figli; la richiesta però veniva respinta, nonostante il ragazzo chiedesse esplicitamente di vivere con la madre e il padre acconsentisse a tale richiesta.
La ricorrente a questo punto proponeva ricorso alla Corte Europea dei diritti umani lamentando, da un lato, la violazione dell’art. 14 (divieto di discriminazione) letto congiuntamente all’art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) e, dall’altro, la violazione dell’art. 6 (diritto ad un giusto processo) della CEDU. X sosteneva che il suo orientamento sessuale rappresentasse il motore delle scelte delle Corti domestiche e fosse stato sempre “onnipresente in ogni stato del procedimento”. Le corti domestiche l’accusavano infatti apertamente di “non volere abbandonare la sua eccessiva vicinanza alla sua partner per il bene della relazione con i suoi figli”, facendo spesso riferimento all’importanza, per la crescita dei bambini, della presenza di un “modello maschile”. In relazione alla violazione dell’art. 6 CEDU, la ricorrente lamentava invece la mancanza di imparzialità del primo giudice, che ben conosceva i suoi genitori.
Lo stato convenuto contestava la posizione della ricorrente, sostenendo che le decisioni dei giudici interni si fondassero sull’esclusiva considerazione del best interest of the child; infatti, nessuna discriminazione era stata posta alla base delle decisioni, bensì la sola considerazione, basata sul parere degli esperti, che l’interesse superiore del minore corrispondesse alla permanenza con il padre, visto anche il deteriorarsi dei rapporti con la madre.
Il Governo infine sosteneva che le uniche allusioni al rapporto di X con la compagna non contenessero giudizi di valore, ma avessero solo un contenuto descrittivo e, per questo, fossero necessarie al fine di spiegare il deteriorarsi del suo rapporto con i figli.
La Corte Europea dei diritti dell’Uomo, con la sentenza in commento, riconosceva la violazione dell’art. 14 letto congiuntamente all’art. 8 CEDU, rigettando, invece, la censura relativa all’art. 6 CEDU. La Corte rilevava come le allusioni all’omosessualità di X fossero predominanti nelle perizie, sulle quali si erano poi fondate le decisioni interne riguardanti la custodia del quarto figlio. Nella prima perizia, infatti, si leggeva che sarebbe stato possibile per la madre ottenere la custodia del figlio se solo avesse “corretto il suo comportamento ed escluso la compagna dalla sua vita familiare”, mentre nella seconda si leggevano inopportune domande sulla relazione tra la madre e la sua compagna.
Secondo la Corte quindi vi era stata la violazione dell’art. 14, che sancisce il divieto di discriminazione, da leggersi congiuntamente all’art 8 CEDU, che sancisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare.
L’orientamento sessuale della ricorrente, infatti, secondo la Corte di Strasburgo, era stato un elemento centrale delle decisioni delle Corti di merito, che per questo motivo le riservavano un trattamento deteriore rispetto a quello riservato ad altri genitori nelle sue medesime condizioni.