di Valentina De Giorgio
Il 10 agosto scorso è stato arrestato l’ex amministratore delegato della ThyssenKrupp, il tedesco Harald Espenhahn, che dovrà scontare 5 anni di carcere in Germania per omicidio colposo.
La condanna si ricollega all’ormai tristemente noto rogo dello stabilimento ThyssenKrupp di Torino. A seguito di un grave incendio che aveva coinvolto la linea 5 dello stabilimento nella notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007, sette operai morirono per le gravi ustioni riportate. Dalle indagini risultò che Espenhahn aveva dato ordine di cessare le opere di manutenzione dell’impianto di Torino in vista del trasferimento a Terni, rendendo lo stabilimento molto meno sicuro.
Il percorso processuale italiano durò fino al maggio del 2016, coinvolgendo diverse figure di rilievo della multinazionale. Espenhahn veniva condannato a 9 anni e 8 mesi per omicidio e incendio colposi, poi ridotti a 5 anni in conformità alla normativa tedesca, atteso che la pena massima per omicidio colposo in Germania non può superare detto più ridotto periodo. Il tribunale di Hamm, nel febbraio 2020, finalmente, respingeva le difese del manager e ne disponeva l’arresto. Gli avvocati di Espenhahn, tuttavia, si rivolgevano alla Corte costituzionale tedesca che, per oltre due anni, sospendeva l’esecuzione del provvedimento, sino alla decisione del maggio scorso, quando, con un ritardo a dir poco criticabile, l’alta Corte si pronunciava per il rigetto del ricorso.
A distanza di 16 anni dalla tragedia, Espenhahn è stato dunque finalmente arrestato, dopo vari tentativi di evitare la detenzione presentando ricorsi e reclami alle diverse istanze tedesche. Si tratta, tuttavia, di una vittoria amara, in quanto Espenhahn verrà molto probabilmente sottoposto ad un regime di semilibertà che gli permetterà di continuare a lavorare durante il giorno, costringendolo a passare in carcere solamente le notti.
A questo punto alle famiglie delle vittime non resta che attendere la decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo. Il ricorso, curato dall’Avv. Prof. Anton Giulio Lana, ha sollevato le violazioni del dritto al giusto processo commesse da parte sia dell’Italia, sia della Germania. In particolare, la giustizia italiana ha trasmesso le traduzioni delle sentenze interne e la documentazione necessaria alla Germania in tempi troppo lenti per essere ritenuti ragionevoli. D’altro canto, la giustizia tedesca ha contribuito ad un eccessivo prolungamento dei tempi, con quello che l’Avv. Lana ha definito “un atteggiamento discutibile” nel dare esecuzione ad un provvedimento adottato da un organo giudiziario un paese membro dell’Unione Europea.