di Massimo Benoit Torsegno

La prima pronuncia riguarda un complesso caso in cui il ricorrente, insieme al proprio compagno, aveva concluso un contratto di gestazione per altri a pagamento con una donna che, dopo la nascita, avvenuta l’8 marzo 2013, aveva affidato ad una coppia eterosessuale il bambino, che veniva riconosciuto sia dai componenti di quest’ultima che dal ricorrente.

Quest’ultimo, quindi, agiva in giudizio per ottenere la dichiarazione di paternità, ma, mentre il Tribunale, con provvedimento emesso il 23 marzo 2017, riconoscendo che il bambino era stato fecondato dai gameti del ricorrente, dichiarava la paternità di quest’ultimo, attribuendogli l’esercizio esclusivo dell’autorità genitoriale e fissando presso di lui la residenza del minore, la Corte d’Appello, dopo aver sospeso l’esecuzione provvisoria del provvedimento, in ragione del rischio che esso potesse creare al bambino incomprensione, tristezza, angoscia e disturbi psichici,  con sentenza del 31 marzo 2018, dichiarava irricevibile la domanda.

La Corte ha affermato esservi stata violazione dell’art. 8 della Convenzione, non tanto in relazione al merito della decisione adottata (ritenuta conforme al superiore interesse del minore, in quanto aveva operato un corretto bilanciamento tra quest’ultimo ed il diritto al rispetto della vita privata del ricorrente), bensì in considerazione della durata della procedura, iniziata quando il bambino aveva quattro mesi e conclusasi quando aveva compiuto sei anni, ritenendo che lo Stato non avesse adempiuto al dovere di eccezionale diligenza imposto dalle circostanze particolari della causa.

Nel secondo caso, ove la ricorrente lamentava il mancato riconoscimento del proprio diritto a vedere ed ospitare il figlio partorito, a seguito di procreazione medicalmente assistita, dalla propria ex compagna con cui all’epoca conviveva, la Corte, esprimendo dubbi sulla motivazione della sentenza d’appello e ritenendo l’esistenza di legami personali ed affettivi con il bambino, ha affermato la violazione dell’art. 8 della Convenzione, respingendo, invece, la censura relativa alla violazione dell’art. 14 conseguente alla discriminazione sofferta in base all’orientamento sessuale ed al diverso trattamento rispetto ad un uomo in analoga situazione, ritenendo che la domanda non fosse stata ritualmente proposta nel giudizio di merito e che, quindi, non vi fosse stato l’esaurimento dei rimedi interni richiesto dall’art. 35 della Convenzione.

Le due decisioni sono di particolare interesse, sia per la materia trattata, relativa ai rapporti con figli nati da procreazione assistita e maternità surrogata nell’ambito di coppie omossessuali, sia, soprattutto, per l’approfondito esame della portata del diritto alla vita privata e famigliare sancito dall’art. 8 della Convenzione, che viene declinato nei suoi aspetti sostanziali e procedurali, bilanciando il relativo diritto dei genitori con quello spettante ai figli alla luce del principio del prevalente interesse del minore, ma, soprattutto, individuando gli obblighi positivi a carico degli Stati e prendendo in considerazione il pregiudizio che tale interesse può subire ove gli Stati medesimi non adottino i provvedimenti necessari nei tempi richiesti dal dovere di diligenza imposto dalla situazione concreta.

– A.L. c. France – sentenza 7/4/2022 – ricorso 13344/20  https://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-216632

– Callamand c. France – sentenza 7/4/2022 – ricorso 2338/20)  https://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-216631)