di Valentina De Giorgio
Con sentenza n. 135/2024, depositata il 18 luglio 2024, la Corte costituzionale ha ribadito che i requisiti per l’accesso al suicidio assistito continuano ad essere quelli stabiliti dalla sentenza n. 242/2019.
In particolare, i requisiti per escludere la punibilità del suicidio assistito stabiliti dalla Corte costituzionale nel 2019 sono: l’irreversibilità della patologia, la presenza di sofferenze fisiche o psicologiche ritenute intollerabili dal paziente, la dipendenza dello stesso da trattamenti di sostegno vitali e la sua capacità di prendere decisioni libere e consapevoli. La sussistenza di tali condizioni deve essere verificata dal servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente. Sulla base di quanto previsto dalla sentenza n. 242/2019, va esclusa la punibilità di chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, del paziente che presenta tutte le suddette condizioni.
La vicenda alla base della pronuncia n. 135/2024, qui in commento, riguardava un processo penale contro tre persone per istigazione o aiuto al suicidio (art. 580 del codice penale). Gli imputati avevano aiutato un paziente affetto da sclerosi multipla avanzata ad accedere al suicidio assistito presso una struttura privata situata in Svizzera. In sede di verifica delle condizioni di non punibilità stabilite dalla sentenza n. 242/2019, il Giudice per le indagini preliminari (GIP) del Tribunale ordinario di Firenze accertava la sussistenza di tre della quattro condizioni, trovandosi il paziente in una condizione di acuta sofferenza, determinata da una patologia irreversibile, e avendo lo stesso formato la propria decisione in modo libero e consapevole. Tuttavia, il paziente non era tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale. L’assenza di tale condizione rendeva impossibile escludere la punibilità dei tre imputati.
Ritenendo il requisito della dipendenza da trattamenti di sostegno vitale contrastante con i principi costituzionali di eguaglianza, dignità e autodeterminazione terapeutica e con il diritto al rispetto della vita privata riconosciuto dall’art. 8 CEDU, il GIP di Firenze sollevava la questione di legittimità costituzionale dell’art. 580 c.p. “come modificato dalla sentenza n. 242 del 2019 […], nella parte in cui subordina la non punibilità di chi agevola l’altrui suicidio alla condizione che l’aiuto sia prestato a una persona «tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale»”.
La Corte costituzionale, con la sentenza depositata il 18 luglio, ha escluso che vi fosse una violazione del principio di uguaglianze e che tale requisito comportasse una disparità di trattamento irragionevole. In particolare, ha ricordato la ratio della sentenza n. 242/2019, che aveva riconosciuto l’accesso al suicidio assistito non a tutti i pazienti affetti da patologie irreversibili risultanti in situazioni di sofferenza intollerabile, bensì solo a quelli che, in tali condizioni, in quanto anche dipendenti da trattamenti di sostegno vitale, già avevano il diritto – riconosciuto dalla legge n. 219/2017 – di rifiutare le terapie necessarie alla propria sopravvivenza. Tale ratio, ha affermato la Corte con la sentenza in parola, “non si estende a pazienti che non dipendano da trattamenti di sostegno vitale, i quali non hanno (o non hanno ancora) la possibilità di lasciarsi morire semplicemente rifiutando le cure”, trattandosi, infatti, di situazioni differenti.
In relazione ai principi di dignità e di autodeterminazione terapeutica, il giudice costituzionale ha affermato che essi vanno controbilanciati con il dovere di tutela della vita umana, soprattutto delle persone più deboli e vulnerabili. Altresì, non ha riscontrato alcun contrasto con il diritto alla vita privata tutelato dall’art. 8 CEDU, richiamando la giurisprudenza europea che ha riconosciuto un ampio margine di apprezzamento a ciascuno Stato nel bilanciamento tra tale diritto e la tutela della vita umana nel contesto dell’incriminazione dell’assistenza al suicidio di persone affette da patologie avanzate.
La Corte costituzionale ha dunque dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal GIP di Firenze, precisando tuttavia che il servizio sanitario nazionale deve interpretare la nozione di “trattamenti di sostegno vitale” conformemente alla ratio della sentenza n. 242/2019. Tale nozione deve includere ogni trattamento sanitario, “incluse […] quelle procedure che sono normalmente compiute da personale sanitario, e la cui esecuzione richiede certo particolari competenze oggetto di specifica formazione professionale, ma che potrebbero apprese da familiari o “caregivers” che si facciano carico dell’assistenza del paziente.”
Infine, la Corte ha espresso l’auspicio che tanto il legislatore quanto il servizio sanitario nazionale garantiscano il rispetto delle condizioni procedurali e la puntuale applicazione dei principi fissati con la sentenza n. 242/2019.