di Maria Paola Costantini

Dopo Fedotova c. Russia (Grande Camera) o Buhuceanu c. Romania, rispettivamente decise il 17 gennaio 2023 e il 23 maggio 2013, questa volta è la V sezione della Corte EDU che con il caso Maymulakhin e Markiv c. Ucraina (istanza n. 75135/14) riconosce – all’unanimità – la violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo con riguardo all’art. 14 (divieto di discriminazione) e all’art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare).

La decisione concerne il riconoscimento legale e la protezione delle coppie dello stesso sesso in Ucraina. La Corte fonda la sua pronuncia sul trattamento diseguale di tali coppie rispetto a quelle eterosessuali e sull’assenza di qualsiasi tipo di riconoscimento e di tutela per il loro orientamento sessuale. Come in altre ultime pronunce, si prende atto che lo Stato ucraino non è stato in grado di proporre valide e sufficienti argomentazioni per giustificare la differenza di trattamento. La sola motivazione fondata sulla necessità di proteggere il modello tradizionale di famiglia non è ritenuta adeguata.

Il caso, arrivato alla Corte nel 2014, riguarda una coppia di due uomini, unita in una stabile relazione sin dal 2010, che aveva tentato di unirsi in matrimonio più volte: si erano rivolti infatti a sette differenti uffici competenti. La loro richiesta non era stata tuttavia accolta sulla base della Costituzione e del Codice della famiglia dell’Ucraina che prevede solo coppie composte da una donna e un uomo sia il matrimonio che la forma dell’unione civile. A seguito della ricognizione effettuata, i giudici europei ritengono che laddove esista una base legale che riconosca due differenti tipi di relazione e si negano entrambe per le coppie dello stesso sesso sia violato il principio di uguaglianza. Alle coppie dello stesso sesso, infatti, è negata ogni opportunità di regolare aspetti fondamentali della vita di coppia essendo considerati solo come due privati cittadini senza legame. La possibilità di accedere ad accordi privati non può essere considerata una protezione sufficiente. Di fatto, alle coppie same-sex è impossibile vedere riconosciuto anche in sede giudiziaria diritti come quello di proprietà, inerenti l’eredità, di visita e assistenza in ospedaliera, di adozione, ecc.

La Corte conclude che la differenza di trattamento, fondata solo sull’orientamento sessuale, in questo caso determina un ingiustificabile negazione di qualsiasi forma di riconoscimento legale e di protezione e in tal senso viola sia l’art. 14 che l’art. 8 della Convenzione.