di Valentina De Giorgio
Con sentenza pubblicata il 6 marzo 2024, il Tribunale Ordinario di Roma, seconda sezione civile, si è pronunciato in relazione alla causa relativa ai danni derivanti dai cambiamenti climatici, nota come “Giudizio Universale”.
Con atto di citazione notificato nel 2021, oltre duecento ricorrenti agivano in giudizio contro lo Stato italiano, ritenendolo inadempiente in relazione agli impegni assunti per contrastare i cambiamenti climatici antropogenici.
I ricorrenti richiedevano, dunque, il risarcimento dei danni derivanti dall’inerzia dello Stato italiano e di condannare l’Italia a ridurre le emissioni di gas serra del 92% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990, adottando ogni necessaria iniziativa di abbattimento delle emissioni artificiali.
Il Tribunale ha dichiarato inammissibili le domande degli attori per difetto assoluto di giurisdizione, ritenendo di non poter accertare la responsabilità civile dello Stato in relazione ad una domanda «diretta ad ottenere dal Giudice una pronuncia di condanna dello Stato legislatore e del governo ad un facere in una materia tradizionalmente riservata alla “politica”», nonché «diretta in concreto a chiedere, quale petitum sostanziale, al giudice un sindacato sulle modalità di esercizio delle potestà statali previste dalla Costituzione». Inoltre, il Tribunale ha evidenziato che la questione avrebbe dovuto essere devoluta al giudice amministrativo, trattandosi di controversia riconducibile all’esercizio di poteri autoritativi da parte dello Stato.
Con tale pronuncia, ponendosi in contrasto con la giurisprudenza di altri paesi europei, nei quali le c.d. climate litigations si sono affermate da anni, il Tribunale di Roma ha ritenuto la questione dell’emergenza climatica sottratta al sindacato giurisdizionale, in quanto espressiva di attività politica.