di Valentina De Giorgio
Con sentenza n. 4557/2024, depositata in cancelleria il 1° febbraio 2024, la quinta sezione penale della Corte di cassazione ha rigettato il ricorso presentato da G. S., condannato in primo grado e in appello per aver fatto sbarcare centouno migranti, tra cui minori e donne in stato di gravidanza, in un porto non sicuro.
In particolare, il 30 luglio 2018, G. S., comandante dell’imbarcazione italiana Asso28, che si trovava in acque internazionali come nave di appoggio e supporto ad una piattaforma petrolifera, rilevava la presenza di un gommone con centouno migranti a bordo nelle acque internazionali limitrofe alla costa libica. G. S., dopo aver consentito il trasbordo sulla nave di un ufficiale di dogana libico, senza procedere alla sua identificazione – in violazione del regolamento tecnico di sicurezza per navi in acque internazionali, l’ISPS code (International ship and port security code) – intercettava il gommone dei migranti, soccorrendoli e successivamente riportandoli in Libia, facendoli sbarcare nel porto di Tripoli.
Con tale condotta, G. S. cagionava ai centouno migranti un “danno grave, consistente nel loro respingimento collettivo, quale condotta vietata dalle convenzioni internazionali e dal Testo unico sull’immigrazione, nello sbarco in un paese terzo considerato porto non sicuro”. Come evidenziato dalla Corte di cassazione nella sentenza in parola, infatti, la Libia non ha aderito alla Convenzione di Ginevra per i rifugiati. Tale elemento, congiuntamente all’accertata ineffettività del sistema di accoglienza e alle condizioni inumane e degradanti nei centri di detenzione per migranti in Libia, impone di ritenere quello di Tripoli un porto non sicuro.
L’imputato veniva condannato nel 2021 dal G.U.P. di Napoli, con successiva conferma nel 2022 da parte della Corte d’appello di Napoli, per i reati previsti dal dell’art. 591 cod. pen. e dall’art. 1155 cod. nav. In particolare, a G. S. veniva contestato di aver fatto sbarcare cinque minori e cinque donne in stato di gravidanza in un porto non sicuro, fatto che veniva ricondotto al reato di abbandono di persone minori e incapaci ai sensi dell’art. 591 cod. pen. Veniva inoltre condannato ai sensi dell’art. 1155 cod. nav. per aver proceduto all’arbitrario sbarco di centouno migranti nel porto di Tripoli, con l’aggravante del fatto che si trattava di passeggeri privi dei mezzi di sussistenza.
Tra i vari motivi di ricorso in cassazione, tutti ritenuti infondati, vi era l’omessa concessione delle attenuanti generiche. Sosteneva la difesa del G. S., infatti, che la particolare natura politica delle scelte di affidamento dei migranti verso l’autorità libica è poi ricaduta sull’imputato come “ultimo della intera catena di presunte responsabilità”.
La Corte di cassazione ha ritenuto congrua la mancata concessione delle attenuanti generiche, non ritenendo che il riconoscimento delle stesse debbano essere “conseguenti alla scelta politica governativa” di consentire si svolgere operazioni SAR (search and rescue) nella zona libica. Argomenta la Corte che un’adeguata vigilanza e un’accorta esecuzione dei doveri propri della posizione di garanzia dell’imputato, così come prescritti dalla normativa sovranazionale, europea e nazionale, avrebbero permesso a G. S. di evitare di incorrere in responsabilità penale per respingimento collettivo e abbandono dei profughi.