di Maria Paola Costantini
Il 23 gennaio 2025, in relazione al caso H.W. c. Francia (ricorso n. 13805/21), la Quinta Sezione della Corte Europea per i diritti dell’uomo ha accolto il ricorso della signora H.W nei confronti dello Stato francese riconoscendo la sussistenza di una violazione dell’art. 8 della Convenzione.
La vicenda giuridica ha al centro l’interpretazione degli articoli 229 e 242 del codice civile francese riguardanti i criteri di attribuzione della colpa in ordine al deterioramento del rapporto coniugale. La Corte di Appello di Versailles e, successivamente la Cassazione, avevano confermato che l’astensione e il rifiuto di atti sessuali poteva rientrare nei casi di attribuzione della colpa in quanto potevano essere qualificati come gravi e reiterate inadempienze coniugali, capaci di rendere impossibile il rapporto matrimoniale. La Corte di Appello, nel sostenere tale tesi, aveva negato la sussistenza reale delle motivazioni sanitarie addotte dalla ricorrente.
La Corte di Strasburgo, ritenendo il caso rientrante nell’art. 8 della Convenzione e procedendo alla verifica se si fosse raggiunto un giusto equilibrio nella tutela delle posizioni in gioco, ha accolto la richiesta rilevando una violazione della libertà sessuale e del diritto di autodeterminazione e di decisione sul proprio corpo. Secondo la Corte, laddove si tocca uno degli aspetti più intimi della vita privata, il margine di apprezzamento concesso agli Stati contraenti in questo settore è ristretto. Solo ragioni particolarmente gravi potrebbero giustificare ingerenze da parte delle pubbliche autorità nell’ambito della sessualità.
Nel caso di specie, la Corte ha osservato che la nozione di “doveri coniugali”, quale enunciata nella normativa nazionale dell’ordinamento giuridico francese e riaffermato nel caso di specie dalle Corti adite, non ha tenuto alcun conto del consenso all’attività sessuale. A tale riguardo, la Corte ha ribadito che qualsiasi atto non consensuale di natura sessuale costituisce una forma di violenza sessuale. La Corte ha osservato la gravità di aver considerato il rifiuto di atti sessuali quale inadempimento dei doveri coniugali, anche per le conseguenze sul piano della concessione del divorzio e di una richiesta risarcitoria. La Corte ha concluso che l’esistenza stessa di un simile obbligo coniugale contrasta sia con la libertà sessuale sia con il diritto alla autonomia sul proprio corpo nonché con l’obbligo positivo degli Stati contraenti di prevenzione nel contesto della lotta alla violenza domestica e sessuale.
Secondo la Corte, infine, il consenso al matrimonio non può implicare il consenso a futuri rapporti sessuali. Un tale interpretazione equivarrebbe a negare che lo stupro coniugale sia di natura riprovevole. Al contrario, il consenso deve riflettere una libera volontà di impegnarsi in rapporti sessuali in un dato momento e nelle circostanze specifiche. In ogni caso, la Corte non ha potuto individuare alcun motivo di particolare gravità idoneo a giustificare una ingerenza nel campo della sessualità.