di Adriana Raimondi

La prima sezione civile della Cassazione – chiamata a pronunciarsi sul ricorso proposto dal Ministero dell’interno e dal Questore della Provincia di Roma avverso il decreto con cui il Tribunale di Roma (ne abbiamo parlato qui) non convalidava il trattenimento in Albania di un migrante proveniente dall’Egitto – ha emesso una significativa ordinanza interlocutoria, rinviando, tuttavia, la causa a nuovo ruolo.

La Suprema Corte ha ritenuto di doversi astenere, per il momento, dal pronunciarsi sul ricorso e di dover attendere, nell’ottica del dialogo leale fra le supreme corti, la decisione della Corte di giustizia Europea nell’ormai prossima udienza del 25 febbraio 2025.

La Corte di Giustizia si pronuncerà, infatti, su plurimi ricorsi pregiudiziali, avanzati tanto da giudici italiani del merito quanto dal Tribunale amministrativo regionale di Berlino, su una serie di quesiti interferenti con la decisione del caso concreto, sicuramente “in grado di fornire alla S.C., nel suo fondamentale ruolo di organo nomofilattico, la possibilità di dettare un principio di diritto destinato ad operare anche per il futuro che tenga conto dei principi che varranno espressi dalla corte sovranazionale”.

In ogni caso, la Cassazione ha ritenuto di offrire la propria ipotesi di lavoro, esprimendo, con un’ordinanza non decisoria, alcune importanti considerazioni circa la possibile interpretazione della disciplina ricavabile dal quadro normativo di riferimento, idonea a superare i dubbi di compatibilità comunitaria della disciplina nazionale di recepimento e di attuazione della direttiva.

Sotto un primo profilo, la Corte si è chiesta “se le argomentazioni che hanno condotto la Corte di giustizia ad escludere la compatibilità delle esclusioni territoriali con il diritto dell’Unione impongano la medesima conclusione anche per le esclusioni soggettive”.

Rispetto all’interrogativo, a cui il Tribunale di Roma aveva dato risposta affermativa, la Cassazione risponde in maniera più cauta, ritenendo “che la sentenza della Corte di giustizia del 4 ottobre 2024 si riferisca esclusivamente all’incompatibilità della previsione di paesi sicuri con eccezioni di parti del territorio”. Con riferimento alle eccezioni c.d. personali, che non osterebbero dunque alla designazione di un paese come sicuro, a parere della Corte “potrebbe ritenersi ragionevole – oltre che maggiormente conforme alla lettera dell’allegato I – che la designazione del paese sicuro risponda a un criterio di prevalenza, non di assolutezza delle condizioni di sicurezza, a condizione, tuttavia, che la presenza di eccezioni soggettive tanto estese nel numero, accompagnata da persecuzioni e menomazioni generalizzate ed endemiche, non incida, complessivamente, sulla tenuta dello Stato di diritto”.

Con riferimento ad altro connesso profilo, la Suprema Corte ha invece ritenuto che “il giudice ordinario, sebbene non possa sostituirsi all’autorità governativa sconfinando nel fondo di una valutazione discrezionale a questa riservata, ha, nondimeno, il potere-dovere di esercitare il sindacato di legittimità del decreto ministeriale, nella parte in cui inserisce un certo paese di origine tra quelli sicuri, ove esso contrasti in modo manifesto con la normativa europea vigente in materia, anche tenendo conto delle fonti istituzionali e qualificate di cui all’art. 37 della direttiva 2013/32, aggiornate al momento della decisione”.

Ciò significa che la valutazione di sicurezza di un Paese contenuta nel decreto ministeriale non impedisce al giudice di prendere in considerazione specifiche situazioni di persecuzione che per il loro carattere esteso e generalizzato siano tali da rendere il Paese obiettivamente insicuro. Infatti, “qualora le fonti provenienti dalle organizzazioni internazionali competenti, contemplate nell’art. 37 della direttiva 2013/32, rendano manifestamente evidente la presenza di persecuzioni con carattere generalizzato, endemico e costante, il giudice potrà ritenere la designazione come sicuro del paese di origine illegittima perché in evidente contrasto con la normativa europea”.

Su queste basi, il Collegio ha prospettato la seguente ipotesi di interpretazione della pertinente disciplina: “Nell’ambiente normativo anteriore al decreto-legge n. 158 del 2024 e alla legge n. 187 del 2024, la designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro può essere effettuata, attraverso un decreto ministeriale, con eccezioni di carattere personale. Tuttavia, la procedura accelerata di frontiera non può applicarsi là dove, anche in sede di convalida del trattenimento, il giudice ravvisi sussistenti i gravi motivi per ritenere che il paese non è sicuro per la situazione particolare in cui il richiedente si trova. In ogni caso, le eccezioni personali, pur compatibili con la nozione di paese di origine sicuro, non possono essere ammesse senza limiti. Tali eccezioni, infatti, non sono ammesse a fronte di persecuzioni estese, endemiche e costanti, tali da contraddire, nella sostanza, il requisito dell’assenza di persecuzioni che avvengano generalmente e costantemente, secondo l’allegato I alla direttiva 2013/32, perché, altrimenti, sarebbe gravemente pregiudicato il valore fondamentale della dignità e, con esso, la connotazione dello Stato di origine come Stato di diritto, il quale postula il rispetto delle minoranze nel nucleo irriducibile dei diritti fondamentali della persona.
Il giudice della convalida, garante, nell’esame del singolo caso, dell’effettività del diritto fondamentale alla libertà personale, non si sostituisce nella valutazione che spetta, in generale, soltanto al Ministro degli affari esteri e agli altri Ministri che intervengono in sede di concerto, ma è chiamato a riscontrare, nell’ambito del suo potere istituzionale, in forme e modalità compatibili con la scansione temporale urgente e ravvicinata del procedimento de libertate, la sussistenza dei presupposti di legittimità della designazione di un certo paese di origine come sicuro, rappresentando tale designazione uno dei presupposti giustificativi della misura del trattenimento. Pertanto, egli è chiamato a verificare, in ipotesi limite, se la valutazione ministeriale abbia varcato i confini esterni della ragionevolezza e sia stata esercitata in modo manifestamente arbitrario o se la relativa designazione sia divenuta, ictu oculi, non più rispondente alla situazione reale (come risultante, ad esempio, dalle univoche ed evidenti fonti di informazione affidabili ed aggiornate sul paese di origine del richiedente)”
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