di Alessio Sangiorgi
A partire da metà giugno, il Regno Unito ha iniziato ad attuare l’accordo siglato lo scorso 14 aprile con la Repubblica del Ruanda, in base al quale i richiedenti asilo giunti in maniera irregolare in Gran Bretagna e Nord Irlanda possono essere ricollocati nel territorio del Ruanda, in attesa che la domanda di protezione internazionale sia valutata dalle autorità britanniche. Si tratta di una scelta politica che è stata a lungo discussa negli ultimi mesi dall’opinione pubblica interna e internazionale, attirando grandi critiche al governo Johnson.
A seguito dell’istituzione di questa nuova prassi, che suscita chiari profili di conflitto con il principio di non refoulement, oltre che con il principio dell’asilo territoriale, alcuni richiedenti asilo oggetto di una misura di trasferimento verso il Ruanda hanno presentato domanda di misure provvisorie ai sensi dell’art. 39 del Regolamento della Corte europea dei diritti dell’uomo, al fine di bloccarne l’esecuzione.
Per tale ragione, lo scorso 14 giugno, la Corte di Strasburgo ha deciso di concedere una prima misura provvisoria urgente a un richiedente asilo iracheno che rischiava l’imminente trasferimento in Ruanda. Il ricorrente, il sig. K.N., aveva fatto ingresso nel Regno Unito in data
17 maggio e aveva presentato domanda di protezione internazionale, che era stata successivamente ritenuta prima facie inammissibile (nonostante in un rapporto si evidenziasse che il richiedente asilo mostrava segni post-traumatici da tortura). In spregio all’impugnativa del provvedimento di diniego, il ricorrente rischiava l’espulsione verso Kigali, con volo charter già previsto per le 22:30 del 14 giugno. A seguito del rigetto della richiesta di sospensiva del provvedimento di ricollocamento da parte della High Court inglese, il 13 giugno il sig. K.N. presentava dunque domanda di misure provvisorie alla Corte europea di Strasburgo.
Quest’ultima ha indicato al governo britannico che il richiedente non doveva essere trasferito in Ruanda prima che fossero trascorse tre settimane dalla pronuncia della decisione nazionale definitiva nel procedimento giurisdizionale attualmente in corso.
In particolare, nell’accogliere la richiesta di misure sospensive provvisorie, i giudici di Strasburgo hanno tenuto conto, da un lato, delle preoccupazioni sollevate dall’UNHCR, secondo cui i richiedenti asilo trasferiti dal Regno Unito al Ruanda non avrebbero avuto accesso a una procedura equa ed effettiva di determinazione dello status di rifugiato e, dall’altro, dalla stessa conclusione dell’High Court relativa al fumus della doglianza sull’arbitrarietà o comunque sull’insufficiente motivazione della decisione di designare il Ruanda come Paese terzo sicuro da parte del Regno Unito (“arguable claim” che sarà affrontato nelle successive udienze di luglio). I giudici europei hanno ritenuto che sussistesse il rischio di un trattamento del ricorrente contrario ai diritti della Convenzione, posto che il Ruanda è al di fuori dello spazio giuridico della CEDU (non risultandone quindi vincolato) e in considerazione dell’assenza di qualsiasi meccanismo giuridicamente vincolante che garantisca il ritorno del ricorrente nel Regno Unito nel caso in cui i tribunali britannici accolgano il suo ricorso nel merito. Pertanto, la Corte EDU ha deciso di concedere la misura provvisoria per impedire l’allontanamento del ricorrente prima che i tribunali interni avessero avuto l’opportunità di esaminare nel merito la fattispecie.
Nel frattempo, altri due provvedimenti di ricollocamento sono stati temporaneamente sospesi dalla Corte di Strasburgo in attesa di meglio approfondire la situazione, mentre una ulteriore richiesta di misura provvisoria è stata respinta poiché in quel caso la Corte ha statuito che il ricorrente non si era avvalso dei rimedi cautelari disponibili nell’ordinamento interno (come invece avevano fatto gli altri ricorrenti nei casi sopramenzionati).
Infine, un’ultima domanda ex art. 39 del Regolamento della Corte è stata ritirata a seguito della decisione dell’Home Office britannico di sospendere quel ricollocamento.
La battaglia legale per bloccare gli effetti di questa nuova preoccupante prassi di esternalizzazione nella gestione dei richiedenti asilo posta in essere dal governo britannico sembra dunque essere nel suo pieno: il rischio è che se l’accordo UK-Ruanda dovesse sopravvivere all’esito del contenzioso attivato per neutralizzarne gli effetti, verrebbe assestato un duro colpo al principio dell’accesso al sistema di protezione internazionale, con un potenziale effetto a catena su altri governi. A farne le conseguenze sarebbero, come sempre, i richiedenti protezione internazionale, con un considerevole abbassamento delle tutele nei loro confronti, ancor più preoccupante quando si tratti di soggetti che potrebbero essere particolarmente vulnerabili, la cui sorte nel Ruanda (e in altri paesi terzi) è tutt’affatto chiara.