di Margherita Tommasini
Il 18 novembre 2021, la prima sezione della Corte Europea dei diritti dell’Uomo si pronunciava sul caso M.H. e altri c. Croazia, ed esaminava congiuntamente i due ricorsi proposti dai ricorrenti, 14 membri di una famiglia afghana che nel 2016 lasciavano il paese di origine, attraversando il Pakistan, l’Iran, la Turchia, la Bulgaria e la Serbia. In tale occasione, la Corte ha avuto modo di ribadire alcuni principi cardine in materia di tutela dei minori e protezione internazionale, condannando la Croazia per molteplici violazioni della Convenzione tra cui, inter alia, la violazione del diritto alla vita, trattamenti inumani o degradanti e respingimenti forzati.
Il primo ricorso davanti alla Corte EDU originava dal respingimento, nella notte del 21 novembre 2017, della madre e di sei dei suoi figli alla frontiera serbo-croata: nonostante avessero espresso la volontà di richiedere asilo, la polizia croata li rispingeva verso la Serbia, ordinando loro di proseguire lungo i binari della ferrovia. Nel corso di tale respingimento, una delle figlie, MAD. H. veniva travolta da un treno in territorio serbo, a circa 200 metri dal confine con la Croazia, e perdeva la vita.
I ricorrenti sporgevano denuncia contro la polizia croata ma le indagini che seguirono sostenevano che i ricorrenti non fossero mai entrati in Croazia, che non avessero avuto alcun contatto con le autorità croate e che non avessero neppure richiesto asilo. Anche la Corte costituzionale croata confermava dette conclusioni e riteneva effettive le indagini sulla morte di MAD. H.
Dinanzi alla Corte EDU, i ricorrenti lamentavano una violazione dell’art. 2 della Convenzione (diritto alla vita), sostenendo che la Croazia fosse responsabile della morte di MAD. H. e che le indagini condotte dalle autorità croate non fossero da ritenersi effettive.
Nel pronunciarsi all’unanimità, la Corte ravvisava una violazione dell’art. 2 della Convenzione, nel suo volet procedurale, ritenendo che le autorità croate non avevano adempiuto all’obbligo procedurale imposto dall’art. 2 che richiede l’apertura di un’indagine penale. La Corte ha inoltre concluso per l’inefficacia delle indagini sulle circostanze che avevano portato alla morte di MAD.H..
Il secondo ricorso prendeva le mosse dal tentativo dei ricorrenti di attraversare nuovamente il confine serbo-croato. Questi venivano intercettati dalla polizia croata e condotti nel centro di Tovarnik allo scopo di permetterne l’identificazione (anche se venivano inseriti nel sistema Eurodac solamente il 10 aprile 2018, a seguito della richiesta dell’Ombudsman croato e del Ministero dell’Interno). La detenzione si prolungava per circa tre mesi, a seguito dei quali i ricorrenti venivano trasferiti in un open-type centre.
A tal proposito, i ricorrenti lamentavano, inter alia, una violazione degli art.3 (divieto di trattamenti inumani e degradanti) e 5§1 (diritto alla libertà e alla sicurezza) della Convenzione. È nell’analisi di tali asserzioni che la Corte trattava in maniera approfondita alcuni dei principi cardine in materia di tutela dei minori e protezione internazionale.
Con riferimento all’art.3, la Corte ne riteneva integrata la violazione soltanto nei confronti degli undici ricorrenti minori, considerando invece adeguate le condizioni di detenzione di cui sono stati destinatari i ricorrenti adulti.
La Corte considerava infatti che i minori, siano questi accompagnati o meno, si trovano in una situazione di particolare vulnerabilità, presentando esigenze specifiche dovute all’età e alla mancanza di indipendenza, ma anche al loro status di richiedenti asilo. Secondo la Corte, tale vulnerabilità costituisce un fattore decisivo che deve prevalere sulle considerazioni relative allo status di richiedente asilo del minore.
Pertanto, gli Stati sono tenuti a prendere misure appropriate volte a garantire al minore una protezione ed un’assistenza umanitaria appropriate, nonché ad adeguare le condizioni di accoglienza dei minori affinché le limitazioni della libertà non creino “a situation of stress and anxiety, with particularly traumatic consequences“.
La Corte ha avuto più volte occasione di esaminare le condizioni detentive a cui sono sottoposti i minori in ragione del loro status di richiedente asilo o di migrate, tenendo conto di elementi quali l’età, la durata, le condizioni materiali delle strutture e la loro adeguatezza ad accogliere i minori, la particolare vulnerabilità dei minori causata da precedenti eventi stressanti e gli effetti del trattenimento sulle condizioni psicologiche dei minori. Nel caso di specie, il Centro Tovarnik presentava elementi propri di un ambiente carcerario: era circondato da un muro, con agenti di polizia appostati all’ingresso e alle porte di ogni piano, con barriere nei corridoi e sbarre alle finestre. In più, la libertà di movimento dei richiedenti asilo era fortemente limitata. La Corte riteneva importante sottolineare a tal riguardo che la restrizione dell’accesso alle attività ricreative, alle strutture all’aperto e all’aria fresca danneggia il benessere e lo sviluppo dei bambini, e concludeva che la detenzione di minori per un periodo prolungato – nel caso di specie corrispondente a due mesi e quattordici giorni – nelle condizioni di cui sopra, costituisce un trattamento inumano o degradante in violazione dell’art. 3.
Inoltre, tali circostanze portavano la Corte a costatare anche una violazione dell’art. 5§1 della Convenzione, sempre con riferimento ai minori ricorrenti: “the detention of young children in unsuitable conditions in the context of Article 3, may on its own lead to a finding of a violation of Article 5 § 1, regardless of whether the children were accompanied by an adult or not”.
La Corte ricordava infatti la tendenza seguita da vari organismi internazionali, tra cui il Consiglio d’Europa, volta ad eliminare la detenzione dei minori in ragione del solo status di migranti o richiedenti asilo. Infatti, l’art.5§1 contiene un elenco esaustivo dei motivi per cui gli individui possono essere privati della loro libertà, tra i quali la lettera (f) permette allo Stato di controllare la libertà di movimento degli stranieri. Ogni privazione della libertà deve però essere legittima e non arbitraria. Si noti che una privazione della libertà può essere legittima in termini di diritto interno ma arbitraria e quindi contraria alla Convenzione. Con riguardo alla detenzione amministrativa in materia di migrazione, le autorità devono tenere conto del fatto che “la misura è applicabile non a coloro che hanno commesso reati penali ma agli stranieri che, spesso temendo per la loro vita, sono fuggiti dal loro paese”. Tali accortezze devono, a fortiori, applicarsi alla detenzione dei minori stranieri.
Giurisprudenza consolidata della Corte sul tema afferma che, in linea di principio, la detenzione di minori stranieri rappresenta l’ultima ratio a cui le autorità devono ricorrere e soltanto il trattenimento per un breve periodo in condizioni adeguate può essere considerato compatibile con l’articolo 5 § 1 della Convenzione.
Per di più, i ricorrenti lamentavano una violazione dell’art. 4 del Prot. 4 (divieto di espulsioni collettive di stranieri), essendo stati respinti più volte verso la Serbia dalle autorità croate senza previa valutazione della loro situazione individuale. Tali respingimenti sommari sarebbero stati condotti al di fuori dei valichi di frontiera ufficiali e senza alcuna notifica preventiva alle autorità del paese verso il quale i ricorrenti venivano allontanati. Nel costatare una violazione dell’art. 4 del Prot. 4, secondo il Giudice Turkovic “the Court should […] have taken the position that even if the respondent State had provided genuine and effective access to entry procedures (which in the present case the Government failed to prove) and even if the applicants (a mother with six minor children) had had no cogent reasons not to make use of such procedures, their collective expulsion, in the light of the best interests of the children and the applicants’ vulnerability, would be contrary to Article 4 of Protocol No. 4 of the Convention, especially since they did not present any danger to security”. Nella sua opinione concorrente, il Giudice Turkovic osservava inoltre che “it is well established in the Court’s case-law that in all decisions concerning children their best interests are of paramount importance. […] In the context of displaced children, the principle of the best interests of the child implies that there should be a clear and comprehensive assessment of the child’s identity and particular vulnerabilities and protection needs”.
Ad ogni modo, con la pronuncia in esame, la Corte mantiene una giurisprudenza costante in merito alla tutela dei minori stranieri, in particolare quando questi sono sottoposti a misure limitative della libertà personale e di movimento.